Vietato criticare il manovratore
LA CONFERENZA stampa di fine anno del Presidente del Consiglio si è aperta con un aspro discorso del presidente dell’Ordine dei giornalisti Iacopino ed è stata l’occasione per evidenziare la tensione tra il premier e l’informazione. Iacopino ha denunciato con il termine «schiavitù» lo stato di sfruttamento di molti giovani precari e la responsabilità degli editori verso i quali il governo avrebbe un occhio di riguardo; con quello di «barbarie» l’esistenza di norme che consentono l’arresto di chi non rivela le proprie fonti; con il termine di «ridicolo» il gioco delle prime peggiori pagine (lanciato alla Leopolda). A ciò ha aggiunto perplessità sulla riforma Rai e il richiamo a una riforma della legge sulla professione.
RENZI non ha ritenuto di dover affrontare, anche da un punto di vista opposto, le questioni sollevate, si è limitato a dire che non esiste né schiavitù, né barbarie, che nel cda Rai ci sono bravi giornalisti e che se fosse per lui l’Ordine sarebbe abolito l’indomani. Punto. E via con le slide, proposte per «agevolare» le domande, nel caso i giornalisti non cogliessero i punti rilevanti. Insomma, insofferenza più esibizione muscolare.
LA DIFFICOLTÀ di Matteo Renzi di accettare che in un sistema pluralistico l’informazione debba essere autonoma e non cantrice del governo – di «rinnovamento» aveva detto Marianna Madia – non è di oggi e secondo diversi operatori dell’informazione è più ingombrante di quella ben nota di Berlusconi. Le fattispecie del particolare modo di gestire i rapporti con stampa e tv di Palazzo Chigi sono innumerevoli e cominciano ad essere messe nero su bianco. Come l’abitudine di trasformare le conferenze stampa in comizi senza lasciare la possibilità di replica ai giornalisti, a Roma come a Bruxelles. O di ignorare i giornalisti italiani durante i viaggi all’estero, come è accaduto per giorni durante il viaggio in America latina.
O, ANCORA, il ruolo sempre meno istituzionale e sempre più di propaganda del capo ufficio stampa Filippo Sensi, con le veline «Renzi dice ai suoi», delle regie di eventi registrati in esclusiva dalla Tv di Palazzo Chigi, dell’esclusione dei «cattivi» dal circuito informativo, e così via. Per non parlare dei contatti diretti e poco gradevoli del premier con i direttori, denunciati da Alessandro Sallusti e Ferruccio de Bortoli.
MA quello che pensa dell’informazione, Renzi – come già Berlusconi e come lui indifferente al fatto di essere Presidente del Consiglio – lo rende esplicito: si veda il suo famoso tweet contro, senza nominarlo, anche se il riferimento era evidente, Corrado Formigli, così come i tanti attacchi ai talk show. Sul perché ciò accada si possono fare varie ipotesi, ma è rilevante il fatto che accade. E ancora più rilevante è che parte del sistema dell’informazione si assoggetti, dimentico della propria missione. Per esempio, tornando alla conferenza stampa di ieri: perché ogni domanda si trasforma in un siparietto per il premier e nessuno prende la parola per contraddirlo? Non è educato? Ma è lo stesso Renzi ad averci ricordato, poco tempo fa, che la democrazia è il governo dei maleducati.