Nel cibo per bambini c’è troppo zucchero: rischio obesità fin da piccoli
L’OMS lancia un nuovo avvertimento, e stavolta riguarda l’alimentazione dei bambini. Un’indagine condotta dall’agenzia Onu per la salute su 7955 prodotti di baby food in quattro città campione – Vienna, Sofia, Budapest e Haifa – ha mostrato che molti tra gli alimenti per l’infanzia (le percentuali vanno dal 28 al 60% tra le varie città) sono proposti anche come adatti per i bambini di età inferiore a 6 mesi: una proposta commerciale di per sé non illecita, ma fuorviante dato che i piccolissimi dovrebbero nutrirsi di solo latte materno o formulato (cioè artificiale).
Ma non solo: la stessa indagine ha provato che in generale il cibo che il mercato destina ai piccoli contiene livelli eccessivi di zucchero (con percentuali che arrivano fino al 30% del prodotto) che potrebbero indirizzarli verso una cattiva alimentazione e quindi all’obesità e al conseguente rischio di malattie croniche e cardiovascolari in età adulta.
Una notizia che arriva contemporaneamente alla pubblicazione del Rapporto annuale sullo Stato della Sicurezza Alimentare e della Nutrizione nel mondo della Fao che ci mette di fronte a un paradosso: la fame nel mondo è aumentata e oggi circa 820 milioni di persone non hanno cibo a sufficienza; ma è aumentato anche il numero di persone obese, che ormai sono 672milioni. Ne abbiamo parlato con Elena Dogliotti, Biologa Nutrizionista e Supervisore Scientifico per Fondazione Umberto Veronesi (che ha pubblicato una guida pratica all’alimentazione sana che si scarica qui).
«È da diversi anni che l’OMS evidenzia la gravità del problema dell’obesità infantile facendo raccomandazioni frequenti per evitare questo fenomeno in perenne crescita: tra queste, la riduzione degli zuccheri semplici che non dovrebbero superare il 10% dell’energia quotidiana», dice Elena Dogliotti. «Gli zuccheri aggiunti in tanti alimenti, inclusi quelli in vendita per bambini di età inferiore ai tre anni, sono la causa principale del surplus. Con questo nuovo messaggio l’OMS ci esorta ancora una volta a fare attenzione, specie se si tratta di bambini entro i 5/6 mesi di vita che dovrebbero nutrirsi solo di latte».
Perché i bambini devono nutrirsi di solo latte entro i sei mesi di vita?
«Perché il latte materno o il latte di formula, che è da preferire se non si può allattare, è perfettamente sufficiente per fornire tutti i nutrienti necessari. Fino a poco tempo si pensava erroneamente che un bambino avesse bisogno di più proteine di quelle già fornite dal latte, e per questo si tendeva ad aggiungere alimenti ulteriori, ma non si considerava il problema del sovralimentazione. Poi si è visto che questa tendenza può portare a un aumento dell’obesità, e a tutte le conseguenze che ne derivano. Così le raccomandazioni sono cambiate: si consiglia di inserire cibi diversi dal latte materno solo dopo i sei mesi, nel momento della dentizione in cui il bambino stesso comincia ad essere interessato a un’alimentazione diversa. Inoltre le linee guida ricordano l’importanza di prolungare la lattazione anche fino a due anni d’età a richiesta, ovviamente riducendo man mano e integrando cibi solidi».
Quali rischi si corrono inserendo cibi che non siano latte?
«Iniziare a introdurre tanti alimenti precocemente potrebbe portare a una sovralimentazione e nell’immediato a disfunzioni di crescita, con un aumento di peso veloce che non va di pari passo alla statura. Gli zuccheri, in particolare, possono comportare un’assuefazione potenzialmente pericolosa al cibo dolce: dato che i bambini sono già più propensi ai gusti dolci, inserendo cibi zuccherati che per loro sono più appetibili, si può creare un’abitudine a un determinato tipo di gusto indirizzandoli verso una cattiva alimentazione. Se un bambino è abituato, ad esempio, a succhi di frutta o marmellate con aggiunta di zucchero può non accettare la frutta al naturale perché per lui può risultare eccessivamente aspra. Lo stesso discorso, peraltro, si può fare con il sale: non si aggiunge mai alle preparazioni nella prima fase dello svezzamento proprio per abitare il bambino a un sapore naturale e poi perché non è necessario. In effetti si dovrebbe continuare anche dopo, e anzi cominciare a nutrirsi in modo sano già in gravidanza perché c’è una sorta di programmazione a livello fetale: una cattiva alimentazione, in eccesso o in difetto, si ripercuote non solo sulla salute del bambino ma anche nella salute del futuro adulto».
Come dobbiamo leggere le etichette del baby food?
«In generale, per quanto riguarda la primissima infanzia, sotto i tre anni, bisognerebbe cercare alimenti meno addizionati possibile: le etichette devono essere brevissime, i prodotti non devono contenere additivi e non devono essere dolcificati con zucchero, sciroppo di glucosio o fruttosio. Un esempio: i succhi di frutta devono essere di sola frutta. Se capita di offrirli al bambino una volta ogni tanto non è un problema: diventano un problema se si trasformano un’abitudine fissa. La varietà resta la base di un’alimentazione sana sin da piccoli, e non bisogna scoraggiarsi se il bambino rifiuta: il bambino ha i suoi tempi, bisogna avere pazienza».
Come bisogna nutrirli dopo l’allattamento?
«Fino a poco tempo fa si tendeva a seguire una specie di timing inserendo, nell’ordine, frutta, cereali cominciando da quelli più digeribili come il riso, e poi man mano diversi gruppi alimentari con carne, pesce, poi uova cercando in questo modo di ritardare alimenti potenzialmente allergizzanti. Oggi il fattore delle allergie dal punto di vista scientifico sembra non essere più provato, a meno che non si parli di un bambino con genitori allergici, e c’è una maggiore apertura con l’approccio dell’autosvezzamento. Ovvero, ora si inizia a dare al bambino il cibo che mangiano gli adulti, facendo attenzione alla consistenza per evitare il rischio di ostruzioni. Si propone anche una diversa cultura del cibo invogliando i genitori a coinvolgere attivamente il bambino sin da piccolo durante il pranzo e la cena».
Come deve essere composta la dieta di una bambino?
«La parola d’ordine deve essere varietà e in generale anche ai bambini si consiglia un’alimentazione prevalentemente vegetale. In uno schema ideale bisognerebbe proporre legumi almeno 4 volte a settimana, a seguire 2/3 volte il pesce e sempre meglio azzurro, 2 volte le uova, le carni bianche, i formaggi. Queste proteine devono rappresentare 1/4 di un piatto che per le restanti parti deve essere composto da verdure e carboidrati, preferibilmente semplici. Un eccesso di carboidrati complessi come quelli dei cereali integrali può comportare un surplus di fibra che nei piccoli limita l’assorbimento dei nutrienti. La società scientifica si è espressa favorevolmente anche per le diete vegetariane perché la parte proteica, oltre che dai legumi, è assicurata da uova e latticini, mentre si invita a fare molta più attenzione alle diete vegane perché, se non sono ben pianificate, possono portare a carenze di vitamine e minerali».
Perché è fondamentale non tralasciare l’educazione alimentare?
«Quello che si impara da piccoli è quello che resta da adulti, nel bene e nel male, per cui è più facile se determinati concetti vengono appresi sin da subito. Un bambino che mangia sano ha molte più chance di diventare un adulto sano. Una questione che ci riguarda molto più da vicino di quanto si pensi: in Italia abbiamo la maglia nera dell’obesità infantile (un bambino su 4 in Italia è obeso, ndr) e questo dovrebbe farci riflettere sul ruolo che l’educazione alimentare, e uno stile di vita attivo, dovrebbe avere sia a casa che a scuola. Da quello che mettiamo nel piatto dei nostri figli, e da come li abituiamo a vivere, dipende il loro futuro».