Vasco Rossi: «Se non sono un sopravvissuto io…»
Questo articolo è pubblicato sul numero 47 di Vanity Fair in edicola fino al 24 novembre 2020
Ciao Vasco, come stai?
Posso solo immaginare quanto, anche per te, sia difficile vivere lontano dal tuo palco e dal tuo pubblico. È anche di questo che voglio parlarti.
La redazione di Vanity Fair Italia mi ha chiesto di dirigere il numero di fine novembre del loro magazine, lasciandomi libertà assoluta sui contenuti e sulla direzione artistica e fotografica delle pagine. Intitolerò il numero SurVIVE, SopravVIVERE.
Sto coinvolgendo i più grandi del mondo dell’arte, della moda e della parola, perché dietro alle loro storie senza tempo ci sono scelte di vita coraggiose che oggi, in un momento di grande difficoltà per la tenuta sociale, si trasforma in pensiero. Così ci sarà Guccini intervistato per la prima volta dalla figlia Teresa, che è una mia cara amica. Ci sarà Roberta Armani in una mia intervista sul valore delle donne nel futuro della moda. Ci sarà Misty Copeland, la straordinaria ballerina di colore che ballerà per noi tra le strade di New York (sarà la cover, fotografata da Francesco Carrozzini). Ci sarà, come testimonianza esemplare, ampio spazio alla vita di due tecnici Live Nation che oggi lavorano e fanno le notti da Amazon per campare. E tanto altro.
Non posso, davvero non riesco a pensare a questo numero, alla capacità degli uomini di vivere anche quando… sono morti dentro, senza passare prima da te. Anche solo per dirti grazie. Da fan e grande appassionato della tua musica so, ho avvertito e ho interiorizzato tutta la fragilità e l’umanità che sono diventate parte della tua poetica e della tua forza. Per questo vorrei chiederti di scrivere una piccola lettera sulla sopravvivenza. Credo che lo sguardo della tua poesia, sorella della follia che appartiene a tutti gli artisti, sia un faro necessario. Sopravvivere, una parola enorme, che sulla tua pelle ha assunto un significato comprensibile per tutti. Ti ringrazio per avermi ascoltato e per il tempo che mi hai dedicato.
Ti abbraccio
Cesare
Vivere o… sopravvivere…
…E sorridere dei guai
Così come non hai fatto mai
E poi pensare che domani sarà sempre meglio…
Oggi non ho tempo
Oggi voglio stare spento…
Caro Cesare,
…sto bene, grazie
o meglio… tengo duro.
Mi ha fatto molto piacere la tua mail, ho capito che oltre
a essere bravo, sei anche una bella persona, serena.
È veramente un brutto periodo.
Per tutti.
Una catastrofe planetaria che nessuno avrebbe potuto immaginare, sarebbe stato peggio solo… Se ci avesse colpiti un meteorite!
Nessun sistema sanitario può reggere a lungo in una emergenza del genere.
…E noi?
Dovremo ancora stare chiusi in casa…
E… Per noi che abbiamo bisogno di urlare, di cantare, di «assembrarci»… è ancora molto lontana la possibilità di fare concerti…
Ma sopravvivremo anche a questo…!!
Sopravvivremo e te lo dico io che…
Se non sono un sopravvissuto io…
… io sono un… Super Vissuto!
(…e sono proprio curioso di vedere come andrà a finire)
Vasco
«Io sono un supervissuto»
di Vasco Rossi
Sono sopravvissuto alla «noia».
Vivendo a Zocca sapevo che da lì bisognava partire perché se sei in pensione ci stai benissimo, ma a 20 anni non c’è niente da fare. Il mio treno si è chiamato Punto Radio, una delle prime radio «pirata» o «libere», che negli anni ’70 fondai con il mio gruppo di amici storici e che ebbe un successo enorme.
L’abbiamo portata avanti a suon di buona musica rock e cantautori, finché abbiamo potuto. Poi, quando è arrivato il momento di scegliere tra diventare commerciali o fallire, abbiamo preferito vendere perché eravamo dei puri.
Ma è stata un’esperienza fondamentale, che a me ha aperto le porte del mondo! Dalle discoteche dove come deejay stavo al centro del palco e tutt’intorno bella gente, fino alla scena musicale rock nazionale.
Che mi trova ancora e sempre sul fronte del palco, a «imbracciare il gruppo». Con la stessa passione, stessa energia e stessa voglia di… 40 anni fa (tutta colpa della radio).
Sono sopravvissuto agli anni ’70.
Quando c’erano gli anni di piombo, le Brigate Rosse, Lotta Continua e Potere Operaio. Io ero un indiano metropolitano, cercavo di migliorare me stesso perché ero l’uomo anarchico e, sinceramente, a me sembravano dei matti quelli che si chiamavano «potere operaio» ed erano studenti, come gli altri che si chiamavano «lotta continua», e poi al pomeriggio tornavano tutti a casa, dai genitori… Perché erano studenti… E la loro lotta continua finiva lì (che poi, si sa come sono finiti, tutti a lavorare per i Berlusconi, bene o male).
Forte della mia esperienza del teatro d’avanguardia, in anni di grandi fermenti intellettuali a Bologna, io tifavo il radicale Pannella e cominciavo a scrivere le mie prime canzoni… Ero un vulcano di idee in fase di esplosione. Tra le cantautorali La nostra relazione o Albachiara, e l’ironico Fegato, fegato spappolato e il provocatorio Non siamo mica gli americani, la mia linea artistica tendeva decisamente al rock, con le sue due anime contrapposte: o ballad struggente o chitarra elettrica che innervosisce. Tutta roba che insieme ti dà una bella pacca, allo stomaco prima e poi ti sale e ti smuove dentro fino ad arrivare al cuore.
Ah, sono sopravvissuto alla femminista che mi massacrava di parole, sincerità e dialogo nella coppia innanzitutto, e poi alla mia prima confessione di tradimento mi ha mollato!
Sono poi sopravvissuto agli anni ’80, gli anni «da bere» e dell’edonismo.
Sono sopravvissuto alla droga e agli eccessi di quegli anni.
Ne ho combinate di cazzate, ma le ho anche pagate tutte.
Gli anni ’80, quelli più stupidi del secolo ma anche i più belli e divertenti e, per me, gli anni irriverenti di Colpa d’Alfredo, di Ogni volta, Vita spericolata e di Bollicine. I favolosi e più fantastici anni dopo gli anni ’70…
Sono sopravvissuto facendo del rock, ho cominciato a fare del rock in italiano. Usando il gruppo al posto della chitarra elettrica. Sognavo a colori, il mio obiettivo finale era arrivare a fare del rock… e spettacolare (di chiara ispirazione Rolling Stones, io ero Mick Jagger, naturalmente).
Per sopravvivenza ho scritto Vado al massimo, C’è chi dice no, Siamo solo noi, canzoni divenute inni generazionali. La musica è sempre stata tutto per me, vivere e… Sopravvivere.
Tutto quello che mi indignava della realtà sfociava in canzoni per lo più provocatorie, e dissacranti. Sberleffi e provocazioni contro i perbenisti, i moralisti, i furbetti.
Poi, sono sopravvissuto agli anni ’90, quando all’apice di una carriera ho voluto fare una famiglia, avere un figlio. La scelta più trasgressiva che avrebbe potuto fare una rockstar e per di più affermata: costruire una famiglia, uscire dallo Stupido Hotel. Sono riuscito a tenere in piedi quella famiglia! Grazie naturalmente alla Laura che ne è stata l’artefice e una compagna straordinaria. Abbiamo amato il «progetto famiglia», qualcosa di solido che si costruisce insieme, che va oltre alla passione e si trasforma via via in affetto, amore.
Ho contemporaneamente tenuto in piedi la mia storia artistica con canzoni del livello di Vivere, Stupendo, Gli spari sopra, Sally. I miei straordinari anni ’90, quelli dei sogni che si avverano, stadi pieni e le prime consapevolezze che mi hanno ispirato canzoni come Gli angeli.
Poi sono sopravvissuto al 2000! Al «millennium bug» con una canzone a cui sono molto affezionato: La fine del millennio.
Quando gli amici hanno cominciato a morire intorno, Lolli, Massimo, Marietto… E sono andato in depressione. Ecco, sono sopravvissuto anche a quella depressione lì.
E ho affrontato gli anni ’10.
E anche lì, sono andato avanti sempre scrivendo canzoni «oneste e sincere», con la stessa coerenza, non per vendere o compiacere, ma per provocare. Prendo sempre spunto dalla vita e la racconto così com’è, senza ricamarci niente attorno. Dividere il mondo in buoni e cattivi? O piuttosto chiedersi se un senso c’è o la vita la devi prendere così come viene.
E sempre mantenendo alto il livello dal vivo, con quella energia e comunicatività straordinaria che mi vengono quando ho di fronte quel mio popolo meraviglioso di fan.
Eh già, «sembrava la fine del mondo ma sono ancora qua», pensa, è la canzone regina degli anni ’10, decretata la più significativa e rappresentativa di inizio secolo!
Ah, sono anche sopravvissuto a tre malattie mortali, nel 2011, quando sono andato in coma per tre o quattro volte.
Preso per un pelo, eh, sono sopravvissuto anche a questo.
Sempre alla ricerca di un senso, sempre un po’ scomodo e pieno di domande alle quali devo ancora trovare risposte, tra «vivere o niente» le mie scelte le ho fatte e sono riuscito ad arrivare fino a qui, fino al 2020, quando è scoppiata questa catastrofe mondiale che si chiama Covid.
Questo Covid del cazzo.
Ecco, io penso che sopravvivrò anche a questo…
O forse, però, sai cosa c’è?
C’è che morirò di noia per il lockdown…
Ti abbraccio e… Ti do una notizia:
ho una nuova canzone (e un nuovo disco) che esce il 1º gennaio 2021 e… Sarà una canzone d’amore.
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