Smart working, il diritto alla disconnessione
Se le aziende e i vari enti si stanno velocemente attrezzando, forti anche delle recenti esperienze, perché lo smart working possa diventare permanente anche in futuro, il quadro regolatorio pare non adeguarsi al cambiamento con proporzionale velocità: «Nessuna legge ha ancora stabilito precisamente come lo smart working debba essere implementato e come possa essere monitorata la prestazione lavorativa, cosa questa che potrebbe far scivolare il datore di lavoro in sanzioni anche penali», spiega l’avvocato Massimo Riva di Rödl & Partner, «Mentre in Germania si apprestano a varare una legge che consentirà a ogni lavoratore dipendente di avere diritto a un minimo di 24 giorni di lavoro agile all’anno, in Italia, dopo l’ultimo DPCM, lo smart working, così come è stato per i decreti precedenti, potrà essere attivato con la procedura semplificata in deroga alla legge n.81/2017 e di conseguenza senza necessità di accordo tra le parti».
Questa disposizione secondo gli esperti legali del diritto del lavoro potrebbe portare ad alcune problematiche riguardanti il numero di ore lavorate, mettendo a rischio il diritto del dipendente alla disconnessione dall’attività lavorativa.
«Iniziamo con il chiarire che lo smart working è stato creato per permettere al dipendente di svolgere l’attività lavorativa fuori dai locali aziendali e di decidere in piena autonomia i tempi e i luoghi di lavoro, nell’ottica di un migliore bilanciamento vita-lavoro», specifica l’avvocato, «Purtroppo però queste prerogative sono spesso solo un’illusione e in molti casi si tende a lavorare di più di quando si è in azienda».
Diritto alla disconnessione, come garantirlo?
«Se è vero che lo stato d’emergenza permette al datore di lavoro di attivare lo smart working senza accordo tra le parti, è altresì vero che il datore per quanto concerne i tempi di riposo e le misure tecniche-organizzative per assicurare al lavoratore il diritto alla disconnessione deve far in ogni caso riferimento alla legge N. 81/2017, che ha cercato di porre un freno all’aumento delle ore di lavoro e alla difficoltà a scindere la vita lavorativa da quella privata, stabilendo i tempi di riposo per lo smart worker e la necessaria interruzione dal collegamento con gli strumenti aziendali informatici».
Come devono essere strutturati i tempi di lavoro?
«Il dipendente può tendenzialmente decidere in piena autonomia i tempi di lavoro. Non vi è necessità di timbrare un cartellino. L’unico vincolo sono i limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Non si fanno pause in orari predefiniti. L’azienda e il dipendente ridefiniscono in maniera flessibile le modalità di lavoro: ciò su cui ci si dovrebbe focalizzare è il raggiungimento di determinati obiettivi e risultati. Si dovrebbe infatti iniziare a pensare a una modifica strutturale non soltanto della disciplina del rapporto di lavoro, in sé e per sé considerata, ma anche dell’organizzazione stessa del lavoro, basata sulla fissazione di precisi obiettivi da raggiungere, piuttosto che sul rigido rispetto di un orario di lavoro. Insomma, la pianificazione delle attività giornaliere, settimanali o anche mensili è veramente essenziale, nell’ottica di una sana implementazione dello smart working. L’accordo individuale può disporre qualche limite a tal riguardo, con la previsione, ad esempio, di fasce di reperibilità in determinati orari per garantire il necessario coordinamento con i colleghi, clienti e fornitori».
Come si sono regolati i datori di lavoro?
«Alcuni datori di lavoro hanno per esempio stabilito, nei diversi accordi individuali, che la reperibilità (telefonica, per e-mail o anche per servizi di messaggistica istantanea) debba essere garantita soltanto durante l’orario di lavoro canonico, facendo desumere – a contrario – che la disconnessione sia assicurata per la restante parte della giornata. Come è agevole comprendere, queste tipologie di misure hanno tuttavia uno scarso impatto sulla vita lavorativa dei dipendenti: molti lavoratori tendono, infatti, a continuare a svolgere la loro prestazione anche durante i restanti periodi della giornata, in cui non dovrebbero essere reperibili né avrebbero dovuto lavorare se fossero stati in sede. Ed è qui che sono invece intervenuti altri datori di lavoro, che hanno iniziato ad imporre – tramite accorgimenti IT, quindi tecnici – la disconnessione automatica ai propri dipendenti. Sotto questo profilo, gli interventi più basici sono stati quelli di inibire l’accesso alla casella e-mail o ai server aziendali in determinati orari
(ad esempio dalle 21 alle 8 del mattino)».
Chiarito questo, però, la legge non ha stabilito nel merito come debba essere garantito il diritto alla disconnessione e gli approcci da parte dei datori di lavoro sono tra i più disparati. «Può succedere, inoltre, che alcuni datori di lavoro abbiano introdotto strumenti o software che, tra le loro altre funzioni, consentano anche la verifica a distanza della prestazione lavorativa o il controllo degli orari di connessione agli strumenti aziendali. In questi casi è assolutamente necessario ottenere le autorizzazioni previste dallo Statuto dei Lavoratori e informare i dipendenti in ottemperanza alla normativa europea sulla privacy. Diversamente il datore di lavoro potrebbe incorrere in sanzioni anche sotto il profilo penale».