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Ноябрь
2020

Stefano Domenicali, una marcia in più

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Passione, preparazione e sguardo al futuro sono alla base del talento e della straordinaria carriera di Stefano Domenicali portavoce nel mondo dello spirito italiano e futuro capo della Formula 1

Questo articolo è pubblicato sul numero 47 di Vanity Fair in edicola fino al 24 novembre 2020

In uno dei nostri bellissimi incontri per le strade e i vicoli emiliani ho chiesto a Stefano se fosse ancora vero che noi italiani abbiamo una marcia in più. Lui, con il suo sguardo gioioso che trasmette consapevolezza, mi ha risposto: «Tutti nel mondo hanno qualità e difetti. Ma nessuno possiede il nostro estro, la nostra fantasia».

Se Stefano Domenicali fosse un compositore sarebbe il più grande di tutti: Johan Sebastian Bach, ma con il cuore di Vivaldi. La sintesi perfetta tra due mondi apparentemente opposti: da una parte l’esattezza e la chiarezza del contrappunto, capace di muovere insieme infinite voci in uno stesso sparito, dall’altra la vivacità melodica e generosa dell’orchestrazione italiana. Preparazione, intelligenza e infinita passione, queste sono le luminose note che risuonano nell’aria quando lo incontri, persuadendoti continuamente, nonostante il ruolo e le responsabilità di una vita perennemente al vertice, nonostante le pressioni e le sfide continue, al fatto che la semplicità d’esecuzione sia il suo segreto inafferrabile, la chiave della sua straordinaria carriera e del suo talento. Oltre a un attaccamento istintivo e feroce alle sue radici, al sole che illumina e scalda la terra da cui proviene.

Così Stefano, forse proprio complice di quel sole che ha brillato su di lui fin dall’infanzia, quando parla riesce a illuminare i concetti che esprime, ti fa apparire semplice quello che fino a pochi istanti prima pareva impossibile. Ma lo fa a modo suo, condendo le parole, sempre posate e lucide, di un’intatta gratitudine verso la realtà. Bach e Vivaldi. Ferrari e Lamborghini. Una sfida che forse, anche se non lo da mai a vedere, vive anche dentro di lui ed è uno dei segreti che lo ha portato ad arrivare al vertice del mondo, del suo mondo, quello dei motori e dello sport. Inteso anche come mondo rappresentativo di valori e di etica professionale. Ma questo non basta a spiegare un amico.

Stefano è un uomo generoso, leale e dall’anima positiva, anche nei momenti più difficili. È raro che chiacchierando con lui non si torni a casa rincuorati e fortificati. Dunque poco importa ormai, se cuore o ragione, se Ferrari o Lamborghini. La sua esperienza ci insegna che ciò conta, come sempre, sono gli uomini e le loro idee.
Ai tempi della dolenza e del vittimismo, mentre il riconoscimento degli uomini passa sempre di più attraverso le lacrime ostentate in diretta tv, il vittimismo, la narrazione delle proprie sventure più comuni, Stefano Domenicali abbraccia il suo destino (e dal prossimo anno quello della Formula Uno di cui sarà presidente e amministratore delegato) con idee chiare, rivoluzionarie, rivolte al futuro. Con l’aggiunta di quell’italianità, o almeno quella parte ancora straordinaria dello spirito italiano, di cui oggi è assoluto portavoce e immagine nel mondo.

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Caro Stefano, la tua impresa eccezionale, come direbbe Lucio Dalla, è cominciata molti anni fa e da allora non si è mai fermata. L’Emilia Romagna è stata la tua rampa di lancio per il mondo, per tutta la vita. Ora, mentre stai per cominciare una nuova grande avventura, immagino che i ricordi stiano bussando alla tua porta. Quanto è contato il sacrificio e quanto le origini da cui provieni, nella tua formazione? A che età hai iniziato a sognare in grande?
«Le radici famigliari, culturali e sociali sono state la base della mia vita e lo sono ancora di più adesso. Mi sono sempre riferito a questi valori soprattutto nei momenti più difficili, trovandone beneficio ed ispirazione. Il sacrificio non l’ho mai sentito tale in quanto l’ho sempre considerato una modalità operativa per percorrere la mia strada e cercare di realizzare i miei sogni…Penso che i sogni siano sempre grandi e senza età perché ti danno la motivazione e lo stimolo di entusiasmarti per le cose che fai ogni giorno sapendo che hai un obbiettivo da raggiungere».

I sogni sono sempre in grande e senza età

Nella tua vita hai guidato aziende iconiche del mondo automobilistico, appartenute a dinastie famigliari che hanno scritto pagine straordinarie della storia imprenditoriale italiana. I loro successi hanno rappresentato un modo di vivere, oltre che di pensare. Quanto hai assorbito da quelle realtà per essere ciò che sei oggi, e quanto pensi di aver portato loro con la tua esperienza?
«Ho avuto la fortuna di entrare al termine del mio percorso di studi universitari in Ferrari, azienda iconica con una forte matrice padronale che in quella fase stava vivendo una transizione manageriale importante. “Siamo la Ferrari!” .. questo è stato il claim che risuonava sempre tra i corridoi… con questo motto fatto di orgoglio ma anche di valori, di passione e competenza ho cercato di immagazzinare tutta l’esperienza che i giovani non possono avere quando entrano in un ambiente di lavoro… il momento interessante e difficile è stato quello del passaggio dalla fase dell’apprendimento a quella dell’essere protagonista per le scelte e le decisioni che devi prendere ogni giorno. Il mio arrivo in Lamborghini è stato diverso perché sulle spalle avevo già un percorso di oltre 25 anni di esperienze professionali e personali da un lato uniche e straordinarie, dall’altro anche difficili e logoranti. Il passaggio in Audi per quasi due anni è stato fondamentale per capire le logiche organizzative di un grande gruppo industriale, totalmente diverso dal modello che conoscevo prima. I dubbi legati al mio passato che la gente di Sant’Agata poteva avere all’inizio li ho convertiti in assoluto spirito di squadra ed appartenenza cercando di calarmi prima di tutto nella nuova dimensione… sono stato “in cuffia” per ascoltare tutti i suoni che per frequenza, ritmo, tono e battuta la nuova avventura mi presentava. Ho cercato il coinvolgimento e definito quello che ritenevo giusto dare come direzione.
Una persona che come me ha la fortuna e la responsabilità di occupare posizioni apicali non può non lasciare un segno anche importante. Questo per me è assolutamente fondamentale. La credibilità che devi conquistare tra la tua gente passa attraverso il fatto di essere visto come punto di riferimento e come esempio vivente sempre. Mi piace pensare di essere in grado di trascinare le persone che mi circondano senza mai prevaricarle».

Il successo e il lusso sono stati a lungo, forse erroneamente, associati. In cosa differiscono per te? Qual è la tua idea di lusso, oggi?
«Successo e lusso sembrano due facce della stessa medaglia ma per quanto mi riguarda appartengono a due dimensioni diverse dove la differenza consiste nel fatto che il primo rappresenta il raggiungimento di un traguardo mentre il secondo è uno stato d’animo. La mia idea di lusso infatti è un po’ particolare… non significa infatti poter possedere oggetti di grande valore ma piuttosto poter scegliere come e dove vivere, fare del proprio tempo quello che si è sempre sognato di fare».

Il lusso è fare del proprio tempo ciò che si vuole

Oggi dopo anni di straordinari risultati ottenuti nel mondo delle auto sportive, torni nel grande universo delle corse, come presidente e amministratore delegato della Formula Uno. Come stai affrontando questo passaggio dal punto di vista umano e professionale? Che eredità lasci a chi verrà dopo di te in Lamborghini?
«Tutto è avvenuto cosi in fretta che, sinceramente, non ho ancora metabolizzato davvero quello che da gennaio dovrò fare… cosa lascio? Un gruppo di persone a cui sono molto legato, un’azienda in grandissima crescita che ha di fronte anni straordinari perché abbiamo già impostato la strategia del futuro. Di questo ne sono orgoglioso. Il mondo della F1 è sempre stato parte integrante della mia vita… rientro in una posizione che mai avrei immaginato di poter ricoprire… mai avrei pensato quando ero ragazzo di poter ricoprire le cariche che mi sono state assegnate negli anni, neanche nel più grande dei miei sogni».

Negli anni della post verità e delle fake news occorre fare chiarezza. Si parla ormai da decenni di auto elettriche, mentre il tema ambientalista è divenuto sempre più attuale e urgente. È di pochi giorni fa la notizia che il numero di auto elettriche ha superato quello a delle automobili a benzina Diesel. Cosa c’è di reale in queste comunicazioni che a volte sembrano strumentali. E soprattutto cosa c’è di vero in questo passaggio che sembra una promessa perennemente non mantenuta? Cosa manca davvero perché il mondo delle automobili possa affrontare questa sfida.
«Il mondo dell’automotive sta vivendo una fase di grandissima trasformazione: non solo l’elettrificazione ma la connettività e la guida autonoma sono mega trend su cui si sta costruendo il futuro di un settore che sta evolvendo come strumento/mezzo come mai era successo in passato. Il tema dell’elettrificazione viene vissuto come una “guerra di religione” per chi vede il mondo delle automobili come l’unico colpevole dell’inquinamento della terra. Io credo che potremmo parlarne per ore… la vettura elettrica, senza entrare nell’analisi puramente energetica e tecnica, richiede un sistema di infrastrutture che solo poche società evolute possono garantire davvero. I costi associati, la gestione degli smaltimenti di batterie, i tempi di ricarica e l’autonomia sono solo alcune variabili che stanno rallentando la penetrazione nel mercato di questa nuova tipologia di vettura.
Stiamo vivendo in un’epoca di forte transizione tecnologica. La verità è che la nostra società dovrà affrontare quanto prima, due grandissime sfide che avranno un impatto strategicamente fondamentale per il futuro della politica industriale:  parlo della gestione di ogni forma di energia e della gestione della connettività, non solo digitale ma anche strutturale e logistica. Queste due dimensioni saranno al centro del cambiamento delle piattaforme e delle filiere del futuro anche nel settore dell’automobile».

Ricordo la prima volta in cui ti ho incontrato a Maranello, quando ricoprivi il ruolo di team manager Ferrari. Vivevi un momento delicato ed eri fortemente sotto pressione, eppure il tuo spirito trasmetteva serenità e positività. Dove trovi la forza di reagire quando le cose non vanno come desideri?
«Sono una persona positiva sempre, è forse la mia più forte caratteristica. Dai problemi non mi faccio abbattere e li guardo sempre come opportunità per trovare delle soluzioni. È vero ci sono stati anni in cui la pressione è stata alle stelle ma in quei momenti ho attinto ad un altra mia caratteristica che è la calma: penso sempre che anche la peggior tempesta che ti possa travolgere debba essere gestita, andare in affanno ti farebbe solo affogare mentre cercare di restare a galla e trovare la via d’uscita è l’unico modo che ti permette di farcela».

Considero i problemi delle opportunità

Oggi rispetto ad allora non sembri cambiato. Anzi sono sicuro che tu non lo sia. Esprimi quotidianamente la stessa passione, un uguale rispetto per te stesso e per le persone che lavorano insieme a te, un costante senso di gratitudine verso la tua squadra di lavoro. L’etica professionale e la competenza sono stati il faro della tua carriera. Quali sono i veri valori che hanno guidato il tuo percorso?
«Sono orgoglioso di poter affermare che il mio modo di essere non è cambiato nel tempo: la mia filosofia è di evitare di avere verso gli altri quei comportamenti che non sopporto siano tenuti con me. L’etica ed il rispetto sono alla base di un rapporto sano e costruttivo con chiunque. Non dimentichiamoci mai di ringraziare chi lavora per noi, basta talvolta un sorriso ed una carezza per ricevere tanto in cambio. La sensibilità è una grande qualità: solo gli stolti pensano di confondere questa caratteristica con debolezza. L’integrità ed il rispetto sono quindi i miei principi».

Hai guidato realtà enormi, con migliaia di dipendenti, prendendoti sempre con coraggio le tue responsabilità, condividendo esplicitamene i successi con i tuoi colleghi e soprattutto con tutti i ragazzi e le ragazze che lavorano nelle aziende in cui hai lavorato. Che rapporto hai con loro? Quanto, oggi, il mondo delle automobili ha bisogno di non perdere di vista il rispetto e la fiducia verso i giovani?
«Ho sempre impostato i rapporti della mia vita con la massima trasparenza ed apertura verso gli altri. Ho sempre vissuto in mezzo ai giovani. Dire che sono la garanzia di un futuro migliore sembra una banalità… Rappresentano le antenne più sensibili per captare i segnali degli eventi che stanno cambiando il mondo, con una sensibilità diversa rispetto alla nostra. Io credo assolutamente nella loro energia e nella loro straordinaria capacità di fare la differenza. Abbiamo bisogno di loro soprattutto nei settori industriali più ostili al cambiamento».

Quanto il tema delle competenze è centrale in Italia? In un momento in cui il lavoro è poco o forse poco regolamentato, quanto conta la formazione e, aggiungo, la visione di un dirigente nella scelta della propria squadra di lavoro in base ai principi non solo del profitto ma anche dell’etica? Il tema etico non credi sia troppo poco discusso o addirittura trascurato nel mondo del lavoro di oggi?
«Io percepisco che tra i giovani il tema dell’etica stia tornando ad essere centrale, in tutte le sue dimensioni. Quando si parla ad esempio di sostenibilità, il concetto è esteso a 360 gradi e questo rappresenta per la società industriale un nuovo stimolo per vedere il mondo del lavoro sotto un’altra lente di ingrandimento.
Ovviamente in una società che cambia cosi velocemente le competenze e la possibilità di rimanere aggiornati attraverso la formazione mirata rappresentano i fondamenti su cui si costruiranno i fattori di successo non solo dell’economia ma anche delle nuove relazioni sociali. Io vedo che il mondo, ancora di più adesso che è colpito da questa maledetta pandemia, sta vivendo una fase straordinaria di evoluzione. È una grandissima opportunità per tutti!».

Sei anche un padre fantastico e so che hai un bellissimo rapporto con i tuoi figli e con tua moglie. Come sei riuscito a unire gli impegni costanti sul lavoro con le responsabilità famigliari?
«La famiglia rappresenta da una parte la stabilità e l’ancora a cui restare legato in mezzo a tutto il mio mondo in perenne movimento; dall’altra è il mio motore, la mia energia per affrontare tutte le mie sfide. Devo tantissimo a Silvia, mia moglie, per la dedizione ed il tempo che ha messo a disposizione per il nostro bene comune. Non possiamo certo puntare sulla quantità del tempo insieme ma abbiamo saputo trasformare in qualità quello a disposizione. Sono fortunato perché la mia famiglia non mi ha mai fatto mancare il sostegno anche nelle decisioni più difficili. Il tempo a casa è dedicato a loro, il resto viene dopo».

La famiglia è il mio motore

Il momento che stiamo vivendo è drammatico, la pandemia globale ha messo in ginocchio o comunque ribaltato il tavolo economico mondiale. Il mondo dello sport, così come quello della musica, in assenza di pubblico, con pochi investimenti e nella difficoltà di mantenere i diritti televisivi, vive uno dei momenti più difficili della sua storia. La Formula Uno è al vertice di questa piramide. Potrà rivoluzionarsi e rappresentare un nuovo modello da seguire per tutte le altre realtà?
«Il mondo dell’intrattenimento sta vivendo una fase davvero critica. L’opportunità che nasce da questa situazione è il farsi trovare pronti per la ripartenza. Con nuovi contenuti, con nuove forme di distribuzione dello spettacolo che produci e con ritrovato entusiasmo che deve essere comunicato da tutti quelli che ne sono protagonisti. Io credo assolutamente nella voglia di tutta la gente del mondo di ritrovare quegli spazi di condivisione che adesso mancano, è nella nostra natura. La digitalizzazione in un mondo che ha dimostrato di non poter che essere globalizzato completerà ma non sostituirà la necessità di vivere insieme e vicini. Lo spazio e la necessità dell’emozione sarà ancora più necessario».

Motor Sport vuole dire talento individuale ma anche enorme lavoro di squadra. Lo Smart working sicuramente ridefinisce il concetto di gestione del tempo e di spazio. Ma quanto il lavoro di squadra che è il centro di alcune attività ne risentirà ? E quanto ne risentiranno le nostre strutture sociali? Le città le metropoli smetteranno di essere il centro sociale ed economico dell’individuo?
«Su questo tema ci sono varie scuole di pensiero, diverse anche da realtà a realtà. Il mondo è davvero grande e diverso. Io non credo a quelli che in maniera perentoria stanno affermando che ormai si lavorerà da casa. Ci sono realtà che non lo possono permettere. Come potrai parlare di valori aziendali se non li vivi? Il senso di appartenga e di orgoglio non si può vivere solamente grazie ad una grande connettività! Sicuramente certe relazioni potranno evolversi. L’esperienza che stiamo vivendo sta costringendo le aziende a rivedere le priorità che avevano definito. I grandi centri urbani in alcuni paesi potranno perdere la centralità che hanno avuto fino ad oggi ma l’aggregazione anche urbana è una necessità non solo strutturale ma anche sociale: importante è ridisegnarla in maniera più vivibile (anche questa è sostenibilità)».

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Attrazione oggi significa talento, unicità, regole che tornino ad appassionare il pubblico. Sostenibilità significa sopravvivenza, rispetto, umanità, tempi meno aggressivi. Sono queste le due nuove regole auree del futuro?
«Io credo che ogni crisi o momento di difficoltà debba portarci ad una riflessione approfondita per metterci in discussione. Questa è la mia lettura sulle ciclicità negative che hanno sempre caratterizzato il nostro mondo (forse oggi con questa necessità compulsiva di notizie sempre nuove ci dimentichiamo della nostra storia). L’umanità ha sempre un atteggiamento di grande timore quando vive la difficoltà con l’ansia di non potercela fare, ma poi si dimentica in fretta di tutti quei pensieri che aveva elaborato quando era la paura a dominare la sua mente. Speriamo che ciò non avvenga questa volta. La vera sfida è capire come le regole che tu hai citato possano essere vissute con la stessa velocità e con la stessa intensità in un mondo sempre più frastagliato e diverso».

Se la pandemia non dovesse darci tregua nemmeno nel 2021, hai una strategia alternativa?
«Anche qui la storia ci insegna che una pandemia ha un effetto importante che si dissolve nell’arco di due anni… uno lo abbiamo già passato… i segnali per i quali nel 2021 si tornerà alla normalità (probabilmente dall’estate) sono incoraggianti e confermano quando sin qui si è sempre constatato. Il vero tema sarà cosa avremo imparato da questa esperienza per evitare di ripetere gli stessi errori nell’eventualità di un’altra? Mi ricordo benissimo quale era il nostro pensiero alle prime immagini che venivano dalla Cina… ecco questo deve restare chiaro… i muri non esistono, sebbene il mondo sia geograficamente e culturalmente diverso e ci possa sembrare grande, è assolutamente piccolo e fragile, come la terra nell’Universo».

Bisogna imparare da questa esperienza per non commettere gli stessi errori

So di porti una domanda poco originale e mi scuso se nel farlo scelgo il modo più diretto e banale. In che modo le elezioni americane con la vittoria di Biden influenzeranno gli equilibri economici mondiali? Lo si può considerare un segnale importante per i cambiamenti futuri?
«Ancora troppo presto per dirlo. Siamo ancora nella fase emotiva del post elezioni. Al di là della vittoria di Biden credo che il vero tema emerso da questi mesi, dove il focus era sul mondo americano, sia quello di aver capito come è diversa la loro cultura da quella europea. Il vero impatto di questo cambiamento, visto l’ordinamento americano, lo si capirà quando sarà definito anche l’equilibrio all’interno del senato americano. Forse il tema della Brexit verrà affrontato dai nostri amici inglesi in maniera diversa ora che Trump non sarà più il Presidente degli Stati Uniti d’America. I rapporti con la Cina, con la Russia, la gestione energetica e delle risorse scarse, il protezionismo e i dazi doganali, la gestione dei flussi migratori, il rispetto del patto sul Clima, le relazioni coni paesi in via di sviluppo… quante sfide…».

So che sei molto vicino alla famiglia Schumacher. È viva in te la speranza di abbracciarlo ancora? Quali sono i tuoi ricordi più belli con lui?
«Verissimo. Con la famiglia di Michael, soprattutto con Corinna, sua moglie, e Mick, suo figlio, ci sentiamo spesso. Prima della pandemia sono sempre stato uno dei pochi a poter far visita a Michael a casa sua in Svizzera. La speranza di chi ha vinto tante sfide è sempre presente!! Non si deve mollare e su questo credo che la sua famiglia stia dimostrando una dignità ed un forza straordinaria ed unica. Di ricordi ne ho tantissimi, difficile trovarne uno… al di là di quelli pubblici e sportivi il nostro rapporto, cresciuto nel tempo, è sempre stato molto sincero e diretto. Questo ci ha permesso di continuare a frequentarci anche quando aveva finito la sua esperienza in Ferrari ed era approdato alla Mercedes…».

Conoscendo l’affetto e la stima che hai per Valentino Rossi, non posso non chiederti se Vale in Ferrari sia uno dei pochissimi rimpianti. Puoi raccontarci come come andò?
«Vale è sempre stato presente nella mia vita sportiva anche quando ero direttore di gara al Mugello e lui era davvero un ragazzino. Come tutti ci siamo innamorati da subito del suo talento, del suo sorriso, delle sue vittorie e della sua vita tutta centrata in quella “romagnolità” (anche se tecnicamente lui è marchigiano…) che ha e sta caratterizzando non solo il motociclismo ma anche tutto il mondo dello sport. La sua tenacia, la sua attenzione a tutti i dettagli è sempre stata maniacale…
Dell’esperienza in Ferrari mi ricordo ogni singolo momento anche perché al nostro interno ero stato io a “convincere” Montezemolo e Todt che poteva essere un progetto tanto folle quanto bello… mi ricordo delle prime riunioni segrete al suo ristorante a Cattolica sul mare, della sera che venne a Maranello per prepararsi al test del giorno successivo, di tutti i test, Fiorano, Mugello, Valencia e anche di quella sera che dopo cena andammo al piano superiore, sempre a Cattolica, e seduto sul letto mi disse che non se la sarebbe sentita di lasciare il mondo in cui era cresciuto… era andato davvero forte… peccato o forse meglio cosi, per il mondo delle moto e per chi, sognatore, lo immaginava come Surtees, l’unico pilota al mondo ad aver vinto sia il campionato mondiale di Motociclismo che quello di Formula Uno…».

Sei appassionato di arte e di musica, e io ho avuto la grande fortuna di ospitarti ai miei concerti, nei quali torni ragazzino. Vorrei che tutti fossero felici come te ascoltando la musica! Trovo sia più che ammirevole che una persona come te, con le tue responsabilità, non abbia perso il piacere del contatto con gli altri, con le grandi emozioni della musica. Che cos’è per te l’arte?
«Provo un profondo sentimento di grande attrazione e rispetto per tutti gli artisti… in fondo in fondo mi sarebbe davvero piaciuto poterlo diventare… L’arte per me è quella grande dimensione in cui io mi sento piccolo piccolo…. emozionato, incuriosito e stupito di quanto valore è presente nelle persone che a vario modo la sanno interpretare… La musica accompagna ogni momento della mia vita, è il mio ritmo, mi sveglio e mi addormento con lei… L’arte, per provare a rispondere alla tua domanda, è tradurre con il linguaggio, le note, il comportamento, il suono, le frequenze dell’anima impercettibili all’orecchio umano che vivono dentro di te….. e forse il mio non sentirlo deriva dall’aver vissuto per troppi anni tra il rumore assordante delle piste… spero almeno sia questa la ragione…».

Provo un grande rispetto per tutti gli artisti

A volte ho l’impressione che tu sia incuriosito dall’animo degli artisti perché sai che i numeri e l’arte insieme possono cambiare il mondo. Stefano, dovevo dirtelo prima o poi. Sei un grande artista. Ma meglio che tu non lo sappia! In bocca a lupo per tutto ciò che farai. Siamo con te.

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