Perché il Donbass fa gola a tutti: che c’è nella parte segreta del ‘piano per la vittoria’ di Zelensky
di Pierluigi Franco
Non sembra aver suscitato particolari entusiasmi il “Piano per la vittoria” presentato a metà ottobre dal Presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, agli alleati di Europa e Stati Uniti. Ma è un piano che, a ben guardare, rivela qualcosa di molto interessante sul conteso Donbass, finora visto dalle cronache soltanto come un vasto lembo di terra russofono più che come un importante bacino minerario, economicamente strategico fin dai tempi della Russia zarista assieme a quello siberiano.
Il piano di Zelensky si articola su cinque punti, di cui la maggior parte già conosciuti e soltanto ribaditi con forza sostanzialmente per tentare di ottenere un maggior coinvolgimento occidentale nel conflitto contro la Russia. Un coinvolgimento molto pericoloso, per ora frenato dalla prudenza di chi ha ancora un po’ di senno. Il primo punto rimarca la richiesta di Kiev, già avanzata più volte, di ottenere in tempi rapidi un invito di adesione da parte della Nato. Cosa difficile con il conflitto in corso perché trascinerebbe in guerra gli altri Paesi in forza dell’articolo 5 del Trattato Atlantico. Il secondo punto, anche questo ben noto, riguarda la richiesta ucraina di poter usare le armi occidentali senza alcuna restrizione per colpire in territorio russo, così come l’uso di dati satellitari in tempo reale da parte occidentale e l’aiuto diretto europeo e americano per l’abbattimento di missili e droni russi. Le armi richieste sono elencate in un allegato segreto. Anche in questo caso, per ora, prevale la linea della prudenza occidentale così come per il terzo punto, incentrato sulla richiesta di dispiegamento in territorio ucraino di armamenti di deterrenza strategica elencati in un altro allegato segreto consegnato agli alleati occidentali.
Ma il punto più interessante sembra essere il quarto, anch’esso corredato di un allegato segreto condiviso con gli alleati più fidati (Stati Uniti, Francia, Germania, Italia e Regno Unito), che sostanzialmente offre a Usa e Ue la futura possibilità di sfruttamento delle pregiate terre rare e delle altre risorse minerarie ucraine tra cui titanio, uranio e, soprattutto, il sempre più ambito litio. Una proposta di accordo, definito “di difesa del potenziale economico strategico”, che sembra suonare come una sorta di “do ut des” per ripagare, a guerra conclusa, gli alleati occidentali dell’aiuto offerto.
Un po’ fantasioso è invece il quinto punto del piano, con il quale Zelensky afferma che l’Ucraina del dopoguerra sarà in grado di garantire con le sue Forze Armate, ormai abituate al combattimento, il miglioramento della sicurezza europea e propone addirittura di sostituire alcuni contingenti militari statunitensi di stanza in Europa con unità ucraine.
A voler analizzare il piano, dunque, particolarmente interessante è senz’altro il quarto punto, messo chiaramente in luce anche dalla parte non segreta. È facile immaginare che, con esso, Zelensky punta soprattutto a offrire maggiori spazi alle grandi società americane in gran parte già presenti in Ucraina da molti anni. Un rafforzamento di captatio benevolentiae per far capire che, se la Russia sarà sconfitta, ci sarà più ricchezza anche per gli amici.
Anche se nella parte nota non appare mai esplicitamente nominato, il quarto punto di Zelensky sembra riguardare essenzialmente il Donbass. È questa l’area che continua a far gola a tutti, dalla Russia di Vladimir Putin, che la ritiene da sempre un proprio territorio, agli Stati Uniti che già prima del 2014 avevano mostrato interesse per quel bacino. Proprio quel territorio, d’altra parte, aveva fatto la ricchezza degli oligarchi ucraini dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica del 1991. Il caso più emblematico è quello di Rinat Achmetov, l’uomo più ricco di Ucraina grazie alle sue acciaierie del Donbass.
Ma quell’area ricca e contesa ha fatto la fortuna anche dell’oligarca più discusso, Ihor Kolomojs’kyj, “inventore” e sponsor del personaggio Zelensky che lanciò come attore nelle sue televisioni prima di proporlo e finanziarlo alle elezioni presidenziali. Nel settembre 2023, su probabile spinta occidentale per tentare di rendere più credibile il contesto ucraino indicato ad alto tasso di corruzione, Kolomojs’kyj è stato incriminato per presunta manipolazione finanziaria delle sue partecipazioni nel campo del petrolio e del gas: una frode da 12,5 milioni di euro tra il 2019 e il 2020.
Già governatore di Dnipropetrovs’k, Kolomojs’kyj non ha mai fatto mistero del suo interesse per le risorse del Donbass che custodisce circa l’80% delle riserve di petrolio e gas ucraini, ma anche il 54% delle riserve mondiali di gas neon, elemento fondamentale per produrre microchip. Nel 2014 la sua Burisma Holdings, definita sul sito ufficiale “società indipendente di petrolio e gas che opera in Ucraina”, era stata autorizzata a commercializzare gas ed era già titolare di diritti di sfruttamento di shale gas in Ucraina. Ma la cosa più interessante era la presenza nel board della società di Kolomojs’kyj nientemeno che di Hunter Biden, figlio dell’allora Vicepresidente e oggi Presidente statunitense Joe, e di Devon Archer, uomo di fiducia dell’allora Segretario di Stato John Kerry di cui era stato senior advisor durante la campagna presidenziale del 2004. Un intreccio di interessi che fa capire bene le mire diffuse sul Donbass.
Per comprendere ancor meglio tanta attenzione su questo importante bacino carbonifero, con una riserva stimata in circa cento miliardi di tonnellate di carbone, va considerato che si tratta di un territorio anche ricco di terre rare e con oltre novanta tipi diversi di minerali, oggi più preziosi che mai per la realizzazione di apparati elettronici. Come già accennato, in quest’area sorgono anche impianti siderurgici di grande interesse con una produzione annua di circa 14 milioni di tonnellate di acciaio soprattutto nel territorio di Mariupol. Per quanto riguarda i minerali, il Donbass vanta i più grandi giacimenti europei di manganese, così come di uranio, al primo posto in Europa, e titanio con il 20% delle riserve mondiali e secondo soltanto alla Norvegia a livello europeo. E non mancano rame e cobalto. Ma a fare gola c’è anche il litio, noto in ambito finanziario come “oro bianco”, materiale che fino a due anni fa aveva conosciuto una crescita esponenziale di valore a causa dell’utilizzo nelle batterie delle auto elettriche, un mercato oggi in frenata. In ogni caso, secondo le stime geologiche, il Donbass conta su una notevole quantità di litio superiore a 500.000 tonnellate concentrate in massima parte nell’area di Ševčenkivske, nell’oblast’ (regione) di Dnepropetrovs’k.
A voler considerare meglio gli intrighi e gli interessi per quell’area va ricordato che poco prima dell’invasione russa, il 12 luglio 2021, il Consiglio europeo aveva deciso di prorogare le sanzioni nei confronti di alcuni settori economici della Russia accusata di voler “destabilizzare” l’Ucraina. Nello stesso mese la Commissione europea annunciò un accordo con il Governo ucraino per lo sfruttamento di giacimenti di terre rare. Meno di quattro mesi dopo, la multinazionale australiana European Lithium, con base a Vienna da dove gestisce un giacimento di litio in Carinzia, rese noto di aver raggiunto un accordo con la società ucraina Petro Consulting, strappando l’appalto alla rivale cinese Chengxin Lithium per l’avvio di attività estrattiva nel giacimento di Ševčenkivske e in un altro situato nei pressi di Dobra, nell’oblast’ di Kirovograd. Proprio nel novembre 2022 il litio aveva raggiunto il massimo della quotazione a 84.500 dollari a tonnellata. Un valore crollato nell’ottobre 2024 a circa 11.000 dollari a causa del pessimismo dei mercati sulla futura diffusione di auto elettriche.
Ma, oltre a questi rilevanti giacimenti, il Donbass vanta anche il 20% delle riserve mondiali di caolino, minerale molto utile all’agricoltura biologica, e di grafite, prezioso elemento non soltanto per le nostre matite ma anche per lubrificanti e per molti prodotti elettronici o altri componenti legati alla sua alta conducibilità come elettrodi, batterie e pannelli solari.
Dunque, tornando al quarto punto del “Piano per la vittoria”, Zelensky chiede a Washington e Bruxelles di sottoscrivere un’alleanza tesa a estrarre insieme, in futuro, i tesori del sottosuolo e a produrre energia. Ovviamente la condizione essenziale è vincere la guerra. Il Presidente ucraino afferma di essere convinto che avverrà nel 2025. Ma, almeno per ora, sul prezioso suolo del Donbass sventolano le bandiere tricolori russe. Ed è assai difficile prevedere che possano essere ammainate.
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