L’elemento del crimine, Epidemic ed Europa. I primi tre film di Lars Von Trier al cinema
Lars Von Trier prima del Dogma e delle Onde del destino. Incompreso, vituperato, sconosciuto. Se i primi tasselli della filmografia dell’oramai 68enne regista danese vi mancano ci sarebbe addirittura la possibilità di recuperarli al cinema. Udite, udite. Grazie a Movies Inspired l’1 agosto 2024 in sala potrete vedere L’elemento del crimine; l’8 agosto Epidemic e a Ferragosto, Europa.
La scena potrebbe sembrare quella di Nanni Moretti in Caro Diario che in piena estate sfida le proprie ritrosie ed entra in una sala dove proiettano Harry pioggia di sangue. In realtà la sfida distributiva ha un significato doppiamente curioso: vedere l’effetto che fanno i tre lungometraggi che nessuno all’epoca si fumò (se non Cannes, poi ci arriviamo) e nemmeno tanto neanche dopo; riscoprire le radici di un provocatore visionario, febbrile e angosciato mentre l’oblio, tra malattia e polemiche, è calato su di lui oramai da sei anni (La casa di Jack è del 2018).
L’elemento del crimine è del 1984, Epidemic del 1987 e Europa addirittura del 1991: sette anni di limbo prima che scoppiasse la Von Trier mania e ogni saletta d’essai facesse a gara per ospitare una pomeridiana di Idioti. I tre film, come molti ricorderanno, rappresentano una fantomatica “trilogia” che di senso generale ne ha pochissimo, ma ne ha probabilmente a livello formale. Ovvero Von Trier che grande narratore non è forse mai stato (Dancer in the dark? Melancholia?) mostra fin da subito che il suo cinema è un incubo stilistico che oscilla tra occhi aperti e semi chiusi.
Fin da subito in L’elemento del crimine devi letteralmente entrarci, come se dovessi varcare una soglia fisica, una porticina cigolante delle fiabe con qualche lupo dietro l’angolo. Dentro ti aspetta proprio un altro mondo. Ed è questa autorialità dilatata, sinistra e naif, per alcuni precipitato filosofico ostentato (Mereghetti addirittura parla di plagio di Borges), per altri spudorata ispirazione dai classici (il New York Times scrisse che guardava all’Infernale Quinlan e a Il terzo uomo), per altri ancora rifacimento palese di Stalker di Tarkovskij (il Davinotti), che non lascia totalmente indifferenti.
Il detective inglese Fisher (Michael Elphick) viene sottoposto ad ipnosi per ricordare i dettagli di una vecchia indagine conclusa in Europa (luogo immaginario, non quella di Ventotene). Alla ricerca di un serial killer che uccideva giovani operaie Fisher seguiva suggerimenti e tecniche del suo maestro, Osborne, e del libro “Element of the crime”scritto da lui: immedesimarsi nel killer stesso. Voce narrante a go-go, un mondo vagamente post apocalittico, un’atmosfera malaticcia, un set bagnato dall’acqua piovana, fognaria, paludosa, ma soprattutto una colorazione seppiata (arancione?) con lampi di azzurro-grigio televisivo e venature di rosso in sovraimpressioni animate, L’elemento del crimine è qualcosa di talmente e ingenuamente indefinibile da risultare perlomeno magnetico.
C’è sì, tutta l’inconcludenza e la lentezza del noir dei vecchi tempi, ma è come se il film portasse a galla già tutte le peculiarità e i limiti del cinema di Von Trier a venire. Il fatto di non voler piacere e compiacere a tutti i costi. Questa impossibilità ad essere inquadrato in un genere, in una poetica, in una categoria di pensiero e produzione predefinibile. Insomma, L’elemento del crimine mostra tutta l’eccentricità del nostro. Lavoro scenico che infatti viene premiato con il Grand Prix “tecnico” a Cannes nell’anno in cui la Palma d’oro va a Paris, Texas di Wenders.
Con Epidemic – messo da parte da Cannes che invece eleverà Europa al Premio della Giuria – Von Trier giocherà tra il macabro e il cinico, tra finzione e realtà, seguendo proprio se stesso e il suo sceneggiatore Niels Vorsel mentre cercano un copione perduto e abbozzano una nuova storia, quella di un medico portatore suo malgrado di un’epidemia. Non chiedete mai a Lars cosa sia questo film. Probabile che nemmeno oggi provi la risposta. Eppure, anche qui, sarà per quella scritta – “Epidemic” – stampigliata in rosso in alto a sinistra per tutto il film o per quella levitazione di Von Trier tra la sagoma per traverso di Superman e le dune sabbiose di Ordet è difficile staccare l’occhio da quello che si vede. Europa è infine il terzo tassello (anche se attenzione, in mezzo a questi tre c’è una Medea da mettere i brividi), un po’ colore e un po’ bianco e nero, con protagonista un controllore dei treni irretito dai neonazisti alla fine della guerra in Germania, pronto per compiere un attentato.
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