Questi leader genitori non stanno eliminando solo Gaza ma una generazione di figli
di Stella Saccà
Un leader politico è per il popolo come un genitore per il proprio figlio. Un genitore tossico, che litiga con il partner o con amici ed estranei, trasmette insicurezza al proprio figlio, che dipende da lui non solo fisicamente, ma soprattutto emotivamente. Un leader politico eletto in democrazia rappresenta tantissimo per le persone che guida, più di quello che immaginiamo. Sceglie per noi, disegna il nostro futuro e decide se imparare o meno dal passato; detta i toni e i colori della nostra quotidianità, se una cosa ci deve far ridere o piangere. E quando c’é ingerenza nella comunicazione, é come un genitore definito “vecchio stampo”, quello cioè che non ammette parolacce o gesti di ribellione.
Il fatto che tutti, salvo poche eccezioni, i leader politici abbiano deciso che sia lecito far compiere un genocidio e sbeffeggiare le leggi internazionali, ricorda molto un genitore che ha il figlio prediletto, quello che ascolta sempre a bocca aperta, quello che ha sempre ragione, non importa cosa dica, o faccia.
I genitori nei palazzi di potere non sgridano il figlio prediletto, colpevole di tanto orrore, lo lasciano fare. E i media sono come quegli animali domestici che osservano, zitti, le dinamiche familiari; che al massimo, se vola qualche comodino, si nascondono per non vedere, e per non sentire.
E ad andarci di mezzo sono tutti gli altri figli, quelli che non hanno scelta, le cui giornate vengono rovinate dalle crisi isteriche del figlio prediletto in preda alla follia. Ma il genitore nel Palazzo, non fermandolo, fa sì che gli altri figli assistano impotenti all’orrore della sua tossicità. E se questi figli provano a impedirlo, o a criticare i genitori, le beccano anche loro e finiscono in punizione.
Tutti vedono cosa sta facendo il figlio prediletto: i ragazzini abituati ai videogame che sognano di fare nella realtà quello che fanno sugli schermi, le donne incinte costrette a vedere neonati affetti da Polio e con la pelle mangiata dalle infezioni; la ragazza affetta da disturbi alimentari costretta a vedere i corpi di Gaza sempre più somiglianti a lei, e si sentirà ancora più sola; l’altra ragazza, quella che non riesce a mangiare perché non si sente amata, e spera che solo polverizzandosi il suo corpo acquisti forma e diventi visibile, e soffre davanti all’ennesimo piatto di verdure mentre pensa alle ragazze palestinesi costrette a mangiare fili di erba, la poca rimasta fuori da fiamme e macerie; i ragazzi affetti da depressione, che si rendono conto che sì, é davvero tutto inutile visto che basterebbe poco per fermare la morte e nessuno si scomoda; le mamme che si sono colpevolizzate per non avere allattato, costrette a vedere bambini orfani senza seni e senza barattoli di latte in polvere; gli animalisti, costretti a vedere cavalli stremati senza acqua e capre al guinzaglio cambiare luogo ogni settimana per poi morire comunque; i malati, quelli che stanno combattendo con farmaci e cure, che si colpevolizzano per il proprio dolore e la loro rabbia privilegiata rispetto a quello di chi è bloccato a Gaza; chi ha perso qualcuno che amava ma che ha potuto seppellirlo come si deve, che ha potuto “sistemarne il corpo” e non mettere pezzi di carne in una busta di legumi surgelati ritrovata chissà dove, a peso: pochi chili se hai perso un bambino, tanti se hai perso un adulto.
Questi genitori nei palazzi di potere, non stanno eliminando solo Gaza, ma una generazione intera di giovani e meno giovani. Perché anche chi gira gli occhi dall’altra parte, sa che l’orrore è alle proprie spalle. Questa “genitorialità” tossica sta rovinando il futuro di chi era già debole e non riuscirà a rialzarsi. E sta prendendo a pugni la stabilità emotiva di chi era considerato equilibrato. Ci saranno altri Aaron Bushnell? E verranno considerati pazzi? O normali? Come si considera chi perde la testa davanti a un altro Olocausto? Il confine tra normalità e anormalità è diventato più debole delle mani degli uomini palestinesi che continuano a scavare nel cemento, mentre da dietro agli schermi che li mostrano, si sentono chiamare terroristi. E chi firma i missili che colpiscono tutto e tutti, ottengono un posto al buffet della festa dei genitori perfetti.
Rendendo il legame tra ironia e assurdità più inamovibile del confine di Rafah, bloccato da cento giorni, al di là del quale ci sarebbe uno spiraglio di salvezza. Ma la porta della casa della famiglia tossica è sbarrata. E non c’è scelta se non quella di morire fisicamente se si è dentro, e metaforicamente se si è fuori.
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