Prima dell’accoltellamento, Sangare vaga per diverso tempo “fino a incontrare il bersaglio più vulnerabile“, sottolinea la gip che elenca anche gli eventi immediatamente successivi all’uccisione di Sharon: la fuga in bicicletta, la scelta di strade secondarie, l’essere tornato indietro per recuperare il berretto che aveva perso e “anche gli accorgimenti dei giorni seguenti”, quando nasconde coltello e indumenti, cambia capigliatura e modifica la bicicletta. Tutti elementi che per la giudice “evidenziano uno stato mentale pienamente integro”. “A fugare qualsiasi ulteriore perplessità”, si legge ancora nel provvedimento, “c’è anche il fatto che” Sangare “è stato portato in psichiatria subito dopo l’ingresso in carcere e non è stata rilevata alcuna traccia di patologia psichiatrica né remota né recente”.
“Le condotte” tenute da Moussa Sangare “denotano, ferma la originaria motivazione omicidiaria, come l’indagato abbia a lungo indugiato alla ricerca del bersaglio giusto” e “più vulnerabile” che “alla fine” ha “individuato nella povera Sharon Verzeni”, una “donna sola” e “intenta a guardare le stelle”, scrive la gip riferendosi al fatto che Sangare prima di uccidere la donna ha vagato per circa 35-40 minuti, per poi colpire” in maniera del tutto casuale, assolutamente gratuita, per non dire addirittura capricciosa“. La giudice ha inoltre osservato che l’omicidio è stato commesso da un “soggetto spesso in preda alla noia” senza “stabile attività lavorativa”, impregnato dai valori trasmessi da quel genere musicale (il riferimento e al trap) “che esalta violenza, sesso estremo, esigenza di prevalere” sugli altri e “che aveva architettato come passatempo quello di lanciare coltellate a una rudimentale sagoma di cartone, con apposto alla cima un cuscino su cui era disegnato un volto umano”. Un soggetto “assalito dal desiderio di provare realmente emozioni forti, in grado di scatenare nel suo animo quella scarica di adrenalina che Sangare ha cercato di descrivere, seguita da uno stato di benessere e relax“.
Intanto emerge anche un altro particolare dall’interrogatorio di garanzia. Confermando la confessione dell’omicidio, Sangare ha risposto alle domande dal giudice per le indagini preliminari spiegando di non avere buttato nell’Adda il coltello usato per uccidere Sharon Verzeni per averne una sorta di “ricordo”. Mentre gli altri in suo possesso sono stati gettati in acqua insieme a un sacchetto con scarpe e vestiti l’arma del delitto è stata sotterrata sulla sponda del fiume. “Non l’ho buttato nel fiume perché ho pensato che avrei potuto trovarlo ancora lì. Volevo tenerlo per avere memoria di quello che avevo fatto, come un ricordo”, ha dichiarato Sangare. E quando la giudice gli ha chiesto se lo voleva tenere come un “souvenir” ha risposto: “Sì“.
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