Indonesia e Pakistan, romanzi di viaggio in nazioni remote
Se non puoi studiare ogni singolo individuo, il modo migliore di farsi un quadro di ciò che sta accadendo in una popolazione numerosa è scegliere campioni a caso (…) Avevo un’unica regola: dire sempre di sì. Dato che gli indonesiani sono uno tra i popoli più ospitali del pianeta, i sì sarebbero stati parecchi. Un tè con il sultano? «Fantastico!» Partecipare a una processione nuziale? «Volentieri!» Visitare una colonia di lebbrosi? «Sicuro!» Dormire sotto un albero con una famiglia di nomadi? «Perché no?» Cane per cena? «Oooh, certo».
Indonesia ecc., di Elizabeth Pisani (traduzione di Gioia Guerzoni; Add Editore), è un originale esempio di come sia possibile coniugare insieme la cronaca di viaggio con la storia, la cultura e la quotidianità di una delle nazioni più complessi e variegati dell’Asia, con un piglio narrativo che richiama ai migliori lavori del new journalism contemporaneo.
L’autrice, approdata per la prima volta in Indonesia nel 1988 come giornalista per l’agenzia di stampa Reuters, lasciò il Paese nel 1991 dopo che l’esercito la minacciò per i suoi reportage sulla guerra civile ad Aceh. Tornò di nuovo tra il 2001 e il 2005 per lavorare con il Ministero della Salute, specializzandosi in HIV, e nel 2011 prese la decisione di scrivere Indonesia ecc. per registrare i cambiamenti avvenuti in Indonesia dall’inizio degli anni ’90. Sumba, Flores, Sulawesi, le isole Molucche, Sumatra, Kalimantan, Giava. 13.466 isole abitate da oltre 360 gruppi etnici, che parlano 719 lingue.
In questo mondo si muove Elizabeth Pisani, descrivendo vite quotidiane e grandi eventi, immergendosi nella cultura e nelle usanze di villaggi e grandi centri urbani, per descrivere le complesse realtà dell’Indonesia e il conflitto tra Giava (che ospita il 60% della popolazione del Paese) e il resto della nazione, conflitto che mette in luce come l’élite indonesiana sia dominata dai giavanesi, influenzando così l’immagine esterna dell’Indonesia. Il libro offra una visione attenta e vivida del più grande arcipelago del mondo. Una visione divertente, ironica e attenta a far risaltare la realtà di tutti i giorni, soprattutto dai margini di questo variegato Paese.
Mentre il sole si alzava, la luce mattutina si spostava lenta lungo i muri della città, Nargis stava camminando per la Grand Trunk Road. Era ancora presto, ma era uscita di casa in preda a un vago impulso. Si fermò a parlare con un uomo che stava aprendo il suo negozio e, ricevute le indicazioni richieste, andò ancora un po’ avanti e svoltò in una traversa. Il bottegaio era la quinta o sesta persona cui aveva domandato la strada nell’ultima ora.»
Il libro dell’acqua e di altri specchi, di Nadeem Aslam (traduzione di Norman Gobetti; Add Editore), è un romanzo di formazione sentimentale che analizza da una prospettiva originale i conflitti che pervadono il Pakistan contemporaneo.
La storia è ambientata a Zamana (una città immaginaria) e vede come protagonisti Nargis e Massud, una coppia di architetti. I due hanno preso sotto la loro ala protettrice Helen, la cui madre, Grace, cristiana, è stata assassinata, e il colpevole ha scontato meno di un anno di prigione perché ha imparato a memoria l’intero Corano. Un giorno, Massud si trova nel mezzo di un conflitto a fuoco e viene ucciso da uno dei contendenti, un americano bianco che la fa franca grazie all’immunità diplomatica. Nargis, affranta, si nasconde con Helen su un’isola nel fiume dove, anni prima, Nargis e Massud avevano iniziato ma non completato un progetto edilizio. Al centro c’è una moschea con quattro porte, attraverso le quali, immaginavano, le diverse “scuole” dell’Islam potessero entrare e pregare insieme.
Il libro dell’acqua e di altri specchi è un romanzo ben scritto, con una prosa asciutta e verosimile, nel quale personaggi ben caratterizzati a livello psicologico diventano rappresentazioni viventi degli effetti dell’intolleranza religiosa e degli abusi di potere.
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