‘Il tempo che ci vuole’ è un film denso, onesto e commovente: un elogio al fallimento
di Michele Sanfilippo
Il tempo che ci vuole è un film denso, onesto e spesso commovente in cui Francesca Comencini, con estrema trasparenza, racconta l’importanza nella sua vita di suo padre Luigi.
La Comencini, che ho avuto il piacere di ascoltare durante la presentazione del suo film, ha raccontato di avere scelto di girare un film che prediligesse il suo rapporto (di bambina prima, poi di adolescente e infine di donna matura) con il padre, tagliando fuori il resto della sua, pur numerosa, famiglia.
Nella prima parte, gli occhi della bambina, praticamente sempre presente sul set dello strepitoso Pinocchio girato da suo padre per la televisione, ci restituiscono l’incanto e il fascino che il cinema può e sa donare a chi lo vede e, credo, a chi lo fa. E in questo suo sguardo di bambina, il padre ci appare un demiurgo capace di ogni cosa ma sempre ricco di umanità e rispetto, specialmente per i bambini.
La seconda parte del film, quella più drammatica, racconta, con estrema onestà e senza alibi, un momento difficile di una ragazza alla ricerca di un’identità ma preda di una considerazione di sé talmente infima da spingerla a cercare rifugio nella droga. In questo frangente suo padre Luigi le dà prova di essere quel padre che tutti vorremmo avere o essere e abbandona i suoi impegni (“prima la vita e poi il cinema” aveva detto, non a caso, in una scena precedente) e si dedica a lei non prima di impartirle (e impartirci) una straordinaria lezione.
In quello che, probabilmente, è il momento topico del film, dopo che lei gli ha confessato di essere una fallita, incapace di fare alcunché, lui, con grande comprensione e affetto, le dice che il dubbio di essere un fallito ha attraversato tutta la sua vita, ma ciò che lo ha tenuto a galla è stato capire che, nella vita, occorre saper ”tentare ancora, fallire ancora, fallire meglio”. Una meravigliosa riflessione sul valore del fallimento come elemento di crescita e di comprensione della vita. Un messaggio straordinario che, mai come oggi, dovrebbe essere recuperato e trasmesso ai nostri fragili giovani, bombardati quotidianamente da messaggi di segno opposto che li invitano al successo, specialmente economico.
Nella parte finale del film vediamo Luigi Comencini stanco e debole ma sempre lucido e capace di fare il suo cinema da uomo onesto e ricco di umanità. Comencini regista ha vissuto un momento straordinario del cinema italiano in cui lavoravano giganti, del calibro di Rossellini, De Sica, Fellini e Visconti, che lui amava e apprezzava. Pur non avendo mai girato capolavori come hanno saputo fare loro, ha dimostrato di amare il cinema come pochi altri anche facendosi protagonista del salvataggio e recupero di decine di film che altrimenti sarebbero andati perduti, per donarli alla Cineteca Italiana. E, se non è stato un gigante del cinema, lo è stato certamente nella vita, almeno agli occhi di sua figlia Francesca e dello spettatore.
Credo che valga davvero la pena di vedere questo bellissimo film, questo grande omaggio a Luigi Comencini e, più in generale, al cinema, che forse non è un capolavoro (dentro ci sono forse troppi spunti e non sempre ben legati tra loro) ma ci è andato davvero vicino ad esserlo.
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