“Il sindaco leghista cambia rotta alla processione in barca per fare l’inchino al clan di Scanzano Jonico”: indagato, attacca polizia, avversari e pure il parroco
Turbativa di funzione religiosa aggravata dall’agevolazione mafiosa. Un inchino ai boss, in sostanza, ma questa volta i portatori della vara non c’entrano nulla. La statua della Madonna era su una barca e il timone era in mano al sindaco leghista che, per la Dda di Potenza, avrebbe pensato bene di omaggiare il clan Scarci. È quanto emerge dall’inchiesta “Mare Nostro” che, nei giorni scorsi, ha portato a 21 fermi nelle province di Matera e Taranto. Bisogna partire dalle parole del procuratore Francesco Curcio per comprendere cosa succede da anni sulla costa davanti a Scanzano Jonico, in provincia di Matera, che in Basilicata è il secondo comune sciolto per mafia nel 2019. Non accadeva dal lontano 1993 quando l’onta dello scioglimento è stata provata la prima volta dal Comune di Montalbano Jonico.
Scanzano Jonico è un territorio dove tutti, anche la politica, devono fare i conti con la cosca Scarci, decimata adesso dall’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia: “Il settore di attività del clan è quello della pesca – sono state le parole del procuratore Curcio – Il clan gestiva il tratto di mare lucano e tarantino come se fosse la piscina di casa, imponendo il pagamento di una cifra ai pescatori per potervi accedere, e obbligandoli anche con metodi violenti a pescare solo in quella zona, dietro ulteriori corrispettivi a fronte di quanto pescato”. Ed è in questo contesto che assumono ancor più rilievo le accuse mosse dalla Dda al sindaco Pasquale Cariello, un ragazzo di 34 anni già ex consigliere regionale della Lega ed eletto a giugno primo cittadino con quasi 2300 voti su 4000 votanti.
Per la Procura non ci sono dubbi: il sindaco ha agevolato la confederazione mafiosa Scarci-Scarcia, che è poi sempre la stessa famiglia originaria di Taranto, una parte della quale, negli anni Settanta è emigrata a Policoro (in provincia di Matera) dove, a seguito di mero errore di trascrizione anagrafica, il cognome di alcuni componenti si è trasformato da Scarci a Scarcia. La pressione mafiosa sul territorio è la stessa e si è allarga, col tempo, anche al Comune di Scanzano Jonico. Se per lavorare serenamente i pescatori devono calare la testa, la Madonna deve fare almeno l’inchino ai boss. E se la barca la guida il sindaco il messaggio vale doppio ed è tutto a uso e consumo della famiglia mafiosa che, su quel tratto di spiaggia, gestiva uno stabilimento balneare, “interdetto con provvedimento prefettizio antimafia emesso il 22 dicembre 2022” e adesso diventato una rimessa abusiva di barche, ovviamente dalla cosca.
Ma andiamo con ordine: tutto si è consumato il 15 agosto scorso in occasione della “Processione della Madonna del mare con le barche”, una festa molto sentita a Scanzano dove la statua della Vergine viene fatta salire su una barca per benedire i vari lidi presenti nella zona. Non le spiagge libere come ormai dovrebbe essere quella dove sorgeva il lido degli Scarci. Per omaggiarli, secondo la Procura, il sindaco Cariello avrebbe “turbato l’esercizio della funzione religiosa compiuta con l’assistenza del ministro di culto don Francesco Saverio Lauciello”. Quest’ultimo non è indagato ma, assieme al sindaco, era sulla barca con a bordo la statua della Madonna. Il mezzo era di proprietà di Mattia Corvaglia, cognato di Luciano Scarci, uno dei 21 soggetti fermati dalla Direzione distrettuale antimafia. Nipote del boss Andrea Scarci, Luciano è accusato di associazione mafiosa, che nel capo di imputazione viene definito “gestore di fatto della società denominata ‘Lo squalo”, già titolare di autorizzazione sull’arenile revocata nell’ambito di una procedura di interdittiva antimafia”.
È lo stesso lido davanti al quale il sindaco leghista ha fatto “inchinare” la Madonna. “Assumendo personalmente la conduzione della barca di proprietà di Corvaglia, trasportante la statua della Venerata”, infatti, Pasquale Cariello ha modificato “la rotta pianificata per la processione”, ha effettuato “una sosta del corteo non programmata, alla presenza di numerosi bagnanti lì presenti, facendosi intenzionalmente fotografare in quel frangente, proprio in corrispondenza del tratto di spiaggia ubicato sul litorale di Scanzano, ove, fino al mese di dicembre del 2022, sorgeva lo stabilimento balneare denominato ‘il Pescatore’ di proprietà e gestito da appartenenti alla famiglia Scarci”. In questo modo, il sindaco ha “strumentalizzando la processione religiosa a fini contrari al sentimento religioso e in un atteggiamento di chiara deferenza nei confronti del clan mafioso”.
Appena la notizia dell’indagine a suo carico è diventata pubblica, da buon leghista il giovane Cariello (classe 1991) ha parlato di “atti coperti da segreto istruttorio” ignorando che era inevitabile che ciò avvenisse visto che la Dda doveva eseguire il provvedimento di fermo con urgenza essendoci un pericolo di fuga dimostrato anche da un’intercettazione registrata a settembre quando Daniele Scarcia ha manifestato “in modo chiaro e inequivocabile l’intenzione di darsi latitante”. “Io me ne vado, non me ne frega niente” sono state le parole dell’indagato che, al suo interlocutore, ha spiegato che si sarebbe nascosto “nelle vicinanze… Se spegni tutte le cose, il telefono… se spezzi i contatti… la preoccupazione mia è di mia madre… non mi faccio prendere, se mi prendono, mi prendono, però non mi faccio prendere… non me lo posso… che mi faccio arrestare a casa… tengo le barche, tengo le cose…qualche…qualche piccolo bene… tutte puttanate”.
Esclusa la “violazione di atti coperti da segreto”, quindi, il sindaco Cariello ha attaccato le forze di polizia che hanno condotto le indagini sulla cosca Scarci. Forze di polizia che, secondo l’esponente del Carroccio, potrebbero essere state “indotte in errore da soggetti politicamente e personalmente contrari alla maggioranza che amministra il Comune”. Il riferimento ha il sapore della calunnia quando Cariello, rispondendo a un pezzo sulla vicenda pubblicato sul Quotidiano del Sud, sostiene di avere “distintamente riconosciuto un ufficiale dei carabinieri in quanto si trovava presso il ‘Camping Le Due Barche’ in abiti civili (da vacanza, sarebbe meglio dire) e nelle vicinanze di una ex consigliera comunale, candidata alle regionali e notoriamente mia avversaria e oppositrice sia politica che personale”.
Difendendosi nel merito, però, il leghista è meno dettagliato quando ricorda che lui ha “sempre combattuto i fenomeni malavitosi”. Come non è dato saperlo, ma di sicuro sostiene che lo “continuerà sempre a fare per la tutela della cittadina che amministra, insieme ad uomini e donne di grande moralità”. Nel frattempo, però, al giornale locale che ha pubblicato le dichiarazioni rese agli investigatori da don Lauciello (il quale ha confermato che il sindaco guidava la barca), il primo cittadino ha dato la sua versione: “Sono convinto che le dichiarazioni del parroco siano frutto di incomprensioni e ricordi sbiaditi. E, del resto, mi sovvengono le parole di don Abbondio ne I Promessi Sposi quando diceva: ‘il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare’”. Il risultato è una nota imbarazzante del parroco che, a fronte delle sue dichiarazioni che sarebbero finite pure nell’ordinanza del gip, si dice dispiaciuto che “su alcuni organi di stampa vengano attribuite alla mia persona frasi del tutto travisate cercando di creare ancora più dolore a questa comunità. Confido che la giustizia faccia a più presto il suo corso portando alla luce la piena verità. Mi rammarica dover constatare che tutta questa situazione non fa bene alla comunità di Scanzano per tanto spero che possa ritornare presto la serenità. In questo momento non ci sono le condizioni per lavorare in piena serenità”.
Va dritto, invece, la Dda di Potenza secondo cui quelle dichiarazioni sono vere e, in merito all’inchino, nel provvedimento di fermo scrive: “La gravità dell’episodio assume connotati imbarazzanti in ragione del fatto che a compiere questo gesto è il primo cittadino e rappresentante dell’intera comunità, a dimostrazione che l’associazione mafiosa riconducibile alle famiglie Scarci-Scarcia ha ricevuto e riceve tuttora il pieno riconoscimento sociale, in un connubio simbiotico tra lecito e illecito, all’interno del quale la famiglia criminale riesce ad operare prevalentemente in modalità silente. Non è un caso che la friggitoria ‘Fronte mare’ continui ad operare senza autorizzazione alcuna”. È la friggitoria del boss Salvatore Scarcia condannato definitivamente per mafia. Per vendere bevande e alimenti sulla spiaggia, il capocosca e altre tre indagati hanno invaso “arbitrariamente, senza concessione demaniale, né autorizzazione comunale, il lotto A7 di Via Lido Torre, ad uso pubblico e destinato al pubblico, edificando una struttura estesa circa 113 mq, in totale assenza di titolo abilitativo, in area sottoposta a vincoli paesaggistici”. Il tutto senza essere demolito dal Comune che, guidato dal leghista Pasquale Cariello, è troppo impegnato a “combattere i fenomeni malavitosi”.
(immagine di repertorio)
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