La costellazione abusiva di Starlink: quanto ci servono davvero i satelliti di Elon Musk?
C’era un venditore di arredamento che prometteva di portare i suoi prodotti “in tutta Italia, isole comprese”. Erano altri tempi. Adesso va di moda uno strafottente personaggio che assicura la connessione ad Internet in ogni angolo del pianeta. In entrambi i casi ci sono di mezzo i “mobili”, siano questi armadi, siano quelli apparati di comunicazione.
Le storie di Giorgio Aiazzone e di Elon Musk hanno in comune due cose: la passione per il volo (il povero Aiazzone morì precipitando con il suo Piper) e l’aver rivoluzionato il rispettivo mercato. Mister Musk, fregandosene altamente del Trattato delle Nazioni Unite che disciplina lo spazio extra atmosferico, ha indebitamente occupato un pezzo di universo che dal 1967 gli Stati Uniti (e l’Italia solo dal 1981) riconoscono come “appannaggio dell’intera umanità”. Nessuno lo ha mai rimproverato. Anzi.
Se il signor Aiazzone si fosse arbitrariamente impossessato di terreni non suoi e ci avesse mai costruito capannoni industriali, magazzini o punti vendita probabilmente sarebbe stato condannato prima dai legittimi proprietari, poi dalla collettività e infine – con suoi tempi – anche dalla legge.
La costellazione abusiva di Starlink, invece, viaggia verso una ipotetica usucapione galattica e nessuno brontola. Non si sente borbottare perché le Nazioni Unite non contano nulla nemmeno sulla Terra (e la loro latitanza tocca l’apogeo con il perdurare delle stragi di bambini che il successore di Erode continua a fare in Palestina) e perché non c’è un’anima pia con un briciolo di competenza ad occuparsene.
La classe politica non è certo tenuta a saper di queste cose, ma avrebbe l’ineludibile dovere di circondarsi di esperti che possano indirizzare al meglio le scelte da farsi nell’interesse del Paese. Invece la popolazione di corte è estremamente remissiva, pronta a chinarsi dinanzi al volere di chi ha lo scettro, lungi dal fare ragionamenti seri che potrebbero cozzare con il volere del Sovrano pro tempore.
La condizione di monopolio di Musk è innegabile: con 7000 satelliti non può temere concorrenza, peraltro eventualmente costituita da realtà come IRIS2 che si muovono con la velocità di un bradipo. Il multimiliardario – grazie alla roba che ha lanciato per aria – somiglia a Serse capace di oscurare il cielo con le sue frecce. Se così fosse sarebbe bello che ci si trovasse alle Termopili e si fosse felici – come Dienece, il soldato di Leonida – di combattere all’ombra…
Mentre si discute del contratto da un miliardo e seicento milioni di euro, verrebbe da interrogarsi se è davvero indispensabile e perché si deve in tutta fretta approfittare dell’opportunità satellitare. Forse – a mutuare il vernacolo romanesco “te se scuoce la pasta” – si è rilevata una indifferibile urgenza dopo anni di sonnolenza catatonica. Probabilmente è la stessa fretta di tagliare trionfalmente il nastro inaugurale del processo penale telematico, corsa che è stata premiata con la paralisi del sistema tecnologico in meno di un paio d’ore dal varo. Qualcuno si faccia coraggio e – come un boy-scout – metta la mano sul cuore e giuri che non c’è un minuto da perdere e che non si può vivere senza. Mi siedo fin d’ora per non perdermi nemmeno una virgola di un così solenne discorso.
Con i mille problemi che attanagliano il Paese, quello di Starlink è solo un diversivo volto a distrarre l’attenzione dall’apocalisse economica e sociale in essere. Ad ogni buon conto, se se ne deve parlare, lo si faccia almeno con correttezza intellettuale.
La soluzione satellitare è certo efficace per arrivare nelle aree “rurali” che il cablaggio convenzionale non può raggiungere. L’alternativa satellitare secondo gli innamorati di Musk non c’è o non è comparabile, ma nessuno obbliga a ricorrere a quel tipo di telecomunicazioni. Ci si domandi allora perché non sfruttare WiMax o il Fixed Wireless Access, ovvero tecnologie esistenti e collaudate che ugualmente non hanno necessità di fare scavi e stendere cavi. Reduci dalle celebrazioni di Guglielmo Marconi, i “patrioti” potrebbero far un pensierino alle soluzioni “radio” che garantiscono comunque copertura e prestazioni non trascurabili.
Se Musk fosse un venditore d’acqua potremmo dire che ha la miglior flotta di autocisterne. Nessuno ne ha tante e così belle come lui. Peccato che, se tutti decidessero di togliersi la sete utilizzando le sue risorse, nel giro di poco ci sarebbe gente in coda con la bottiglia in mano e molte persone rischierebbero di rimanere a gola asciutta.
Naturalmente questi aspetti esulano dalle discussioni animate da un ex hacker che potrebbe aver cambiato pelle sentendo l’odore del denaro e da un ufficiale della Marina che all’onore della bandiera sembrerebbe aver anteposto la caccia di opportunità per la consorte imprenditrice nel settore dei servizi informatici. L’atmosfera del tradimento non è percepita da chi governa che – poca la memoria – reputa affidabile il Paperon de Paperoni che, dopo aver tradito le mogli e gli schieramenti politici di cui si era progressivamente innamorato, ha fregato gli ucraini invasi. Siamo sicuri che la connessione gratuita a Starlink nella prima fase del conflitto sia stata un regalo sincero o un cavallo di Troia? Il personaggio con forti legami commerciali con la Russia cosa ne ha fatto del traffico dati e voce che ha veicolato sulla sua rete satellitare in quei mesi di disperazione?
Non è finita. Qualcuno ha provato a chiedersi se ci si può fidare di un tizio che – come avvenuto con Kiev – è pronto a “staccare la spina” in qualunque momento? Non ci basta la dipendenza tecnologica dai router cinesi di Huawei e di ZTE che impensieriscono chi si preoccupa da tempo dell’architettura telematica “tricolore”?
Niente paura. Siamo liberi di tuffarci nelle braccia di chi sappiamo essere il nostro possibile carnefice. La Premier ricorda che in giro c’è gente peggiore e porta l’esempio di Soros e ne lascia immaginare tanti altri. In verità la storia di Starlink ha più i contorni della fiaba e le note del pifferaio magico addolciscono il sopraggiungere del destino.
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