“Belve di Francesca Fagnani è disperazione allo stato puro. E gli adolescenti lo vedono che noi siamo spietati”
Il suo spettacolo teatrale tratto dal suo ultimo saggio “Mordere il cielo. Dove sono finite le nostre emozioni” fa il tutto esaurito e lui si racconta al Corriere della Sera. Paolo Crepet spiega questo successo perché “forse qualcuno ha scoperto che non dicevo delle cazzate. Un illustre giornalista mi chiamava ‘il Taricone della psicanalisi’. Ma le cose sono cambiate, è cambiata la gente. I miei libri hanno un loro successo, così come le serate”.
Dall’essersi “giocato la carriera accademica” (“per fortuna, se no avrei fatto il professore universitario e adesso sarei calvo e peserei 150 chili. Quella strada l’ho provata ma me la sono giocata perché c’è invidia: fin da giovane ero noto e questo non te lo perdona nessuno…”), alle sue opinioni spesso molto nette e controcorrente: “All’inizio della mia carriera sono stato troppo drastico e forse non ho capito che c’è un’età per tutto. Certe cose me le posso permettere oggi, perché le vedo da una collina più alta che mi consente di allargare la visione sulle cose e di metterci un po’ più di saggezza. Mi rimproverano a volte gli eccessi, l’iperattivismo, e credo che sia una critica giusta anche se alla fine questo ha portato del buono, perché se no oggi sarei uno dei tanti. E poi mi accusano di essere tranchant, di avere spesso posizioni troppo nette: anche quello deve venire con la vita. Io sono nato per avere delle opinioni ma, a una certa età, arrivi a un punto in cui puoi dire la tua”.
Non si esime Crepet dal parlare di un “declino culturare evidente”: “I nostri mezzi di comunicazione, tutti, non hanno di che parlare realmente e questo ha fatto emergere una necessità voyeuristica. Perché uno deve andare in televisione a parlare dei fatti suoi? È da poveracci. Inviti il maestro Muti e gli chiedi: lei aveva un affaire con Tizia o Caia? Ma che domande sono? Uno si dovrebbe vergognare. Il mondo dei media si è abbassato a un livello che una volta si sarebbe detto ‘da lavandaia’”. E quando arriva la domanda sul successo di Belve, non si sottrae dallo spiegare perché ne abbia: “Perché la gente è disperata. Cosa c’è di interessante? Non mi hanno mai invitato e io non ci andrei mai. La Fagnani sarà anche carina, ma è colpa di chi fa il programma che deve cercare la volta in cui sei scivolato sulla buccia di banana: disperazione allo stato puro. E gli adolescenti lo vedono che noi siamo spietati. La televisione trash di cui si parlava anni fa era l’anticamera di questo; adesso è una televisione animalesca, infatti si chiamano “Belve”, “Iene”. Non c’è nulla di umano. Se avessi ospite Giorgia parlerei solo del dolore per la morte del suo fidanzato: quante volte sei morta quando l’hai saputo? Come ti sei tirata su? Chi ti ha raccolta col cucchiaino? Invece qui è come ridurre la vita di Verdi a quando ha lasciato la moglie: sì, è vero, ha lasciato la moglie. E quindi? Cosa toglie al sublime dell’Aida?”. La televisione andrebbe spenta, meglio i podcast: “Certo, ci vuole uno bravo come Alessandro Barbero che sa raccontare le cose. Io sono stato affascinato e ispirato, nella mia vita, da persone che sapevano declamare le proprie scelte, le proprie passioni”.
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