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Separazione delle carriere, il governo rifiuta di garantire l’indipendenza dei pm: bocciato l’odg dei 5 stelle. “Hanno gettato la maschera”

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Il centrodestra non promette di garantire l’indipendenza delle indagini una volta che la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri diventerà legge. La maggioranza ha respinto un ordine del giorno, presentato dalla deputata del Movimento 5 stelle Valentina D’Orso al ddl costituzionale approvato in prima lettura alla Camera, che impegnava il governo ad “astenersi da qualsiasi iniziativa, legislativa e non, volta a indebolire o compromettere il principio della dipendenza funzionale della polizia giudiziaria dal pubblico ministero e il divieto di interferenza degli altri poteri nella conduzione delle indagini”.

Insomma, si chiedeva una rassicurazione sul fatto che lo scopo ultimo della riforma non sia quello di controllare le inchieste, come invece temono i magistrati e le opposizioni. Un impegno che l’esecutivo non ha voluto prendere: dopo il parere contrario espresso dal viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, l’odg è stato respinto con 107 voti favorevoli e 167 contrari. Oltre alla maggioranza, a votare contro sono stati anche i parlamentari di Italia viva. “Con la bocciatura di questo ordine del giorno il governo finalmente getta la maschera e svela il reale disegno dietro la separazione delle carriere: quello di sottrarre la direzione delle indagini al pubblico ministero per lasciarla alle filiere gerarchiche, quindi in definitiva ai ministeri”, ha accusato la deputata D’Orso in Aula. E rivolgendosi al ministro della Giustizia Carlo Nordio, che ha sempre escluso di voler porre il pm sotto il controllo dell’esecutivo, ha incalzato: “Delle sue rassicurazioni di principio ce ne facciamo poco, se vengono smentite dai fatti. State dando conferma che il vostro obiettivo è attrarre le Procure nell’orbita del governo, e lo farete attraverso il coordinamento delle indagini”.

A passare, dopo una riformulazione chiesta da Sisto, è stato invece un odg a prima firma del deputato di Forza Italia Enrico Costa, che impegna l’esecutivo, “in sede di attuazione della riforma, a valutare l’opportunità di prevedere concorsi separati per l’accesso alla magistratura giudicante e a quella requirente”. Il ddl infatti si limita a introdurre nella Carta (all’articolo 102) il principio delle “distinte carriere” di pm e giudici, affidando però alle norme sull’ordinamento giudiziario la disciplina di dettaglio.

Accolto con riformulazione anche un ordine del giorno di un altro berlusconiano, Paolo Emilio Russo, che impegna “a valutare, in sede di attuazione del disegno di legge, ogni più opportuno intervento diretto a consentire il rispetto della parità di genere” nella composizione dei futuri Consigli superiori della magistratura, uno per i giudicanti e uno per i requirenti. La stessa riformulazione, che cambiava l’impegno a garantire le “quote rosa” in un semplice impegno a “valutarle”, è invece stata rifiutata da altri esponenti dell’opposizioni che avevano proposto odg sullo stesso tema, tra cui Filiberto Zaratti di Alleanza Verdi e Sinistra e Maria Elena Boschi di Italia viva.

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