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IL Fatto Quotidiano
Январь
2025

L’enigma Trump e gli scimmiottatori di casa nostra: non c’è di che stare allegri

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Saranno molto pochi coloro che rimpiangeranno Rimbambiden, destinato a restare tristemente famoso sui libri di storia non tanto per le sue gaffes più o meno esilaranti, quanto per il suo strenuo sostegno al genocidio del popolo palestinese e all’insensato mattatoio ucraino. Tuttavia, si ha volte l’impressione che con Trump sia possibile un ulteriore scivolamento dalla padella nella brace. Prendiamo come paradigma di riferimento il suo discorso di insediamento, pronunciato alla presenza dei quattro moschettieri miliardari dell’ipercapitalismo delle piattaforme comunicative (Bezos, Musk, Picai, Zuckerberg), e della nostra Giorgia accorsa felice e zelante a festeggiare i suoi amici del cuore. Alcuni analisti hanno sottolineato il carattere fortemente “ipnotico” del discorso tenuto da Trump, volto essenzialmente a rafforzare la fede cieca dei suoi seguaci nelle sue capacità taumaturgiche e sulla concreta possibilità di rendere ancora una volta grandi gli Stati Uniti, sia pure a spese del resto del mondo.

Tra le righe si intravvedono tuttavia, al di là della propaganda spicciola, alcuni inquietanti elementi di carattere più sostanziale, che tracciano un ritratto per nulla confortante di quelle che saranno le concrete scelte del neoletto (per la seconda volta) presidente che però stavolta potrà giovarsi di un controllo pressoché totalitario sul Congresso, sulla Corte Suprema e sui mezzi di comunicazione, oltre che sulle Forze armate e quelle di polizia.

Vediamone alcune. In primo luogo l’attacco forsennato ai migranti, definiti tout-court “criminali pericolosi, molti provenienti da carceri e istituti psichiatrici entrati illegalmente nel nostro Paese da tutto il mondo”. In tal modo Trump fa propria la cantilena nauseabonda delle destre su “prima gli statunitensi”, che i vari scimmiottatori in Italia e altrove declinano in proprio, ma tale approccio è ovviamente destinato a creare contraddizioni tra il detentore dell’originale e i vari imitatori, ad esempio sul tema dei dazi.
Poi la questione ambientale, negata in modo assoluto e incondizionato, a un livello degno di una Susanna Ceccardi qualsiasi.

Trump vuole raggiungere l’autosufficienza energetica assoluta trivellando tutto il trivellabile e pazienza se il cambiamento climatico porterà il mondo a rotoli nel corso di pochi anni, come del resto si stanno accorgendo anche negli Stati Uniti, come dimostrato dagli incendi di Los Angeles e dalle inondazioni di New Orleans. Parallelamente si rinuncia all’auto elettrica, riconoscendo implicitamente l’enorme predominio cinese, questione probabilmente destata a suscitare qualche problemino tra Trump e il suo pupillo e adoratore Musk, che lo ha salutato a braccio teso, sembrando quasi un membro della gerarchia nazista di fronte al Führer, ma che è anche il creatore della principale impresa statunitense del settore.

Terzo punto, l’ambizione militaresca e guerrafondaia di creare “l’esercito più forte che il mondo abbia mai visto” con la celebrazione del presidente McKinsey, colui che alla fine del Diciannovesimo Secolo diede avvio alla fase imperialista conclamata della politica estera statunitense, coll’espansione verso Cuba, Filippine e Porto Rico a spese del declinante impero coloniale spagnolo, e i concreti riferimenti alla necessità di rioccupare Panama per evitare che il Canale sia utilizzato dai cinesi.

Tre punti di grande importanza che delineano il quadro di un revanscismo totale, pronto a mettere il mondo a ferro e fuoco pur di salvaguardare il “destino manifesto” attribuito agli Stati Uniti dal Padreterno in persona. Non c’è davvero di che stare allegri. Ma Trump appare convinto del fatto che sarà possibile fermare il declino del suo Paese, che egli esplicitamente riconosce, pur addebitando la responsabilità ai suoi predecessori, solo rinnegando totalmente ogni vocazione universalista e concentrandosi esclusivamente sul punto di vista e gli interessi di un Paese che conta al momento 340 milioni di abitanti su di un totale di circa 8 miliardi, quindi circa un ventiquattresimo dell’umanità.

Quanto scritto finora basta per capire come, nonostante le perduranti illusioni di qualche imbecille, la presidenza Trump costituirà probabilmente un enorme passo indietro per la civiltà umana. Certo, si può sempre sperare che il formidabile intuito di Donald per gli affari e le opportunità che via via gli si presentano, lo porterà a inattesi cambiamenti di direzione e a derubricare le affermazioni contenute nel suo discorso a mere fanfaronate. Ma si tratterebbe di un wishful thinking eccessivo, anche se l’analisi va tenuta ovviamente vigile e aggiornata.

Quello che è certo è che appare oggi più che mai urgente lo sganciamento del nostro Paese, come dell’Europa del suo complesso, dal carro atlantico, cui siamo aggiogati sotto la “guida” delle fedeli ancelle di Donald, le sottoniste Meloni e von der Leyen. Occorre recuperare piena libertà di movimento per avviare un dialogo costruttivo coi Brics, gli unici che appaiono oggi in grado di rilanciare le ragioni dell’umanità, come appare con evidenza dalla Dichiarazione di Kazan del 24 ottobre 2024.

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