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Sanità territoriale, attivate le centrali previste dal Pnrr. Ma rischiano di essere scatole vuote: “Mancano gli infermieri per farle funzionare”

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Almeno sulla carta, l’Italia ha raggiunto un obiettivo fondamentale del Pnrr. Sono state realizzate almeno 480 Centrali operative territoriali (Cot), le strutture pensate per garantire un coordinamento efficace delle attività sanitarie e sociosanitarie a livello territoriale. Secondo la programmazione iniziale dovevano esserne attivate più di seicento in tutta Italia, una ogni centomila abitanti: ma la rimodulazione del Piano, approvata a novembre 2023 dalla Commissione Europea, le ha ridotte del 20%. In ogni caso si tratta di un traguardo cruciale: l’attivazione delle Cot entro il 31 dicembre 2024, infatti, era l’unica scadenza europea della missione Salute del Pnrr che avrebbe potuto condizionare il pagamento della settima rata, da 18,3 miliardi di euro. Come sottolinea il monitoraggio indipendente della fondazione Gimbe, però, sull’effettivo funzionamento delle strutture ci sono ancora molte incognite. Su tutte, non è ben chiaro chi ci andrà a lavorare: la grave carenza di infermieri che affligge il nostro Servizio sanitario nazionale rischia di trasformare le Centrali operative in scatole vuote.

Gimbe: “Rispettare le scadenze non basta” – “Senza risolvere la crisi del personale sanitario, la riforma dell’assistenza territoriale prevista dal Pnrr sarà solo un’occasione mancata”, commenta Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe. “È inaccettabile che, mentre si celebrano gli obiettivi raggiunti, si perda di vista il fatto che l’indebitamento del Paese rischia di non avere alcun beneficio per la salute delle persone. Il fine ultimo del Pnrr non può limitarsi al rispetto delle scadenze per incassare le rate. Deve servire a ridurre le disuguaglianze territoriali e assicurare un’assistenza equa per tutti”. E questo obiettivo, afferma Cartabellotta, non può essere raggiunto senza politiche efficaci che rendano di nuovo attrattiva la carriera di tutti i professionisti nella sanità pubblica.

Gli infermieri che non ci sono – L’effettiva operatività delle Cot, infatti, rischia di essere compromessa dalla mancanza di personale. Secondo le stime dell’Agenas, l’agenzia per i servizi regionali, per garantirne il funzionamento sarebbero necessari tra i 2.400 e i 3.600 infermieri di famiglia e comunità (per i quali sono già stati stanziati 480 milioni di euro). Ma il fabbisogno di organico si scontra con la mancanza di professionisti: nel 2022, in Italia c’erano solo 6,5 infermieri ogni mille abitanti, rispetto alla media Ocse di 9,8. E il numero cala ancora se si considerano solo quelli che lavorano nel pubblico: 5,13 ogni mille abitanti. Inoltre, la scarsa attrattività della professione nel nostro Paese, dovuta ai bassi stipendi e alle pessime condizioni di lavoro, porta con sé un basso numero di laureati: 16,4 per mille abitanti nel 2022, contro una media OCSE di 44,9. Per l’anno accademico 2023-2024 sono arrivate 23.627 domande per 20.058 posti disponibili, mentre per il 2024-2025 le domande sono scese a 21.250 per 20.435 posti.

L’inquadramento mancante – In particolare, la difficoltà di riuscire ad assumere i circa tremila infermieri di famiglia e comunità necessari alle Cot risiede nel mancato inquadramento contrattuale di queste figure. “Allo stato attuale, chi viene assunto come infermiere di famiglia viene inquadrato come semplice infermiere. Un professionista dovrebbe quindi decidere di specializzarsi, prendendo un master post laurea, per lavorare con molte più responsabilità ma senza che cambi il suo inquadramento contrattuale e il suo stipendio. Chi lo farebbe?”, si chiede Antonio De Palma, presidente del sindacato Nursing Up, parlando a ilfattoquotidiano.it. Il risultato è che gli infermieri di famiglia assunti nelle Cot sono pochissimi. “Nonostante l’importanza di questi professionisti sia evidente, la figura dell’infermiere di comunità non è stata inserita nel contratto del comparto Sanità 2022-2024. Anche per questo abbiamo deciso di non firmare il rinnovo”, spiega. “L’Italia lavora capovolta: crea delle figure specializzate e poi non ne prevede il riconoscimento contrattuale. Non ci saranno persone disponibili a svolgere queste funzioni con lo stesso stipendio, basso, di un infermiere non specializzato”, denuncia.

Scarsa trasparenza – Il report Gimbe inoltre sottolinea altre due criticità collegate all’attivazione delle Centrali operative territoriali. La prima riguarda la trasparenza dei processi pubblici: ad oggi, si legge nel rapporto, non è ancora stata pubblicata la distribuzione regionale delle Cot “pienamente funzionanti”, ma solo di quelle più genericamente “attivate”. Secondo l’ultimo dato reso pubblico da Agenas a settembre 2024, infatti, al 30 giugno scorso risultavano pienamente funzionanti solo 362 strutture, un numero che non garantisce l’equità territoriale. Poi c’è l’incertezza sui tempi di realizzazione delle altre 120 Cot, previste inizialmente dal Pnrr e poi messe in pausa dalla rimodulazione: soprattutto, denuncia Gimbe, non è ancora stato chiarito con quali fondi dovranno essere finanziate queste strutture, tenute fuori dai finanziamenti del Piano. Il loro completamento, si legge nel report, è fondamentale “per garantire una presa in carico continua e personalizzata dei pazienti”, elemento chiave per affrontare le sfide legate all’invecchiamento della popolazione e alla crescente prevalenza delle malattie croniche nel nostro Paese. “Fino a quando non saranno pienamente funzionanti tutte le 611 Cot previste originariamente si registrerà un aumento del carico di lavoro per quelle attive, che si troveranno a gestire un bacino di utenza più ampio, rischiando di compromettere la qualità dei servizi”, conclude il rapporto.

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