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Morte Sara Piffer, la rabbia del mondo del ciclismo. Moser: “Fermate questa mattanza”. Fondriest: “Non smetteremo mai di lottare”

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Il mondo del ciclismo è indignato. Anzi furente. Venerdì 24 gennaio sulle strade italiane ha perso un’altra delle sue promesse. La 19enne Sara Piffer, investita da un’auto in fase di sorpasso mentre si stava allenando sulla sua amata bicicletta. Una strage continua, che colpisce semplici persone sulle due ruote così come gli agonisti e i professionisti. “Fermate questa mattanza“, è il grido di rabbia del campione trentino Francesco Moser. La 19enne Piffer, originaria di Palù di Giovo, si allenava sulle sue strade, tra Mezzocorona e Mezzolombardo. “Strade che conosco come le mie tasche, perché è una vita che le percorro in macchina o in bicicletta”, ha raccontato Moser a tuttobiciweb. “Quella ragazza non la conoscevo bene ma la conoscevo. Qui in Valle se ne parlava come una ragazza di assoluto talento. È una cosa inacettabile!”, ha aggiunto il ciclista italiano più vincente di tutti i tempi.

“Ero di ritorno da una giornata sulle piste da sci. A chiamarmi è stato mio fratello Diego: sono rimasto di sasso”, ha proseguito Moser. Che poi ha ribadito il concetto: “Troppe sono le tragedie su queste strade, troppi i morti, va fatto qualcosa per il bene di tutti. Va fatto assolutamente qualcosa”. Un grido d’allarme rilanciato anche da un altro ex campione di ciclismo, Maurizio Fondriest, che ha pubblicato il proprio pensiero in un post su Facebook: “Oggi il mio pensiero va a Sara e alla sua famiglia, costretta ad affrontare questo momento così ingiusto. Perdere un figlio è un dolore immenso, in queste circostanze diventa insopportabile. Non dobbiamo perdere la forza di lottare perché tutto questo non diventi mai la normalità“.

“L’ennesima tragedia della strada che ha coinvolto una ciclista è un problema non solo del nostro sport ma di civiltà, legato alla cultura del rispetto, all’educazione civica, alla realizzazione di infrastrutture, alla realizzazione di città più a misura d’uomo“, ha dichiarato il presidente della Federciclismo Cordiano Dagnoni. La morte di Sara Piffer ha sconvolto tutta la comunità della bici italiana. Era una giovane promessa del ciclismo italiano, correva per la Mendelspeck Ge-Man di Pineta di Laives e aveva partecipato a numerose gare nazionali e internazionali. È già la nona ciclista morta sulle strade italiane dall’inizio dell’anno, secondo i dati raccolti ed elaborati dall’Osservatorio Sapidata-Asaps, l’Associazione sostenitori e amici della Polizia stradale. Nel 2023 erano deceduti 212 ciclisti, secondo i dati Istat, e lo scorso anno 204, secondo la stima preliminare dell’Asaps. In pratica, ogni 48 ore in Italia muore almeno un ciclista.

“Lavoriamo da tempo per migliorare la sicurezza in gara, ambito di nostra competenza. Abbiamo invece meno strumenti per intervenire quando si parla di sicurezza in allenamento, se non attraverso la continua formazione del personale che accompagna i nostri ragazzi sulle strade. Il problema è soprattutto legato alla realizzazione di infrastrutture in grado di garantire l’uso sicuro della bicicletta”, ha proseguito Dagnoni. Il presidente della Federciclismo ha poi sottolineato: “Non esistono segreti, se non quelli di prendere ispirazione da quanto accade nei paesi da questo punto di vista più avanti di noi”. Ma le proposte presentate per la maggior parte “sono state disattese“, ha evidenziato Dagnoni. Che ha concluso: “È arrivato il momento di dire basta. Non avendo avuto riscontro in questi anni, come organismo sportivo non ci resta che appellarci al nostro referente presso il Governo, ovvero il Ministro Abodi, affinché almeno lui riesca dare concretezza alle tante richieste che arrivano dalla società civile per fermare questa continua carneficina“, ha concluso.

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