Dario Ballantini: “Ai night club tra le spogliarelliste imitavo Dario Fo, Paolo Conte o Ray Charles. Ma sotto i tavoli c’era attività frenetica, armeggiavano”
Congiunture astrali.
“Sono nato lo stesso giorno, mese e anno di Marco Travaglio”
Punti in comune con Travaglio?
Credo la mania di perfezionismo.
Lei, nel suo mondo, è celebre per il perfezionismo.
Sui trucchi lo sono.
Come imitatore è considerato un numero uno.
Al massimo “portiere”.
(Dario Ballantini pennella parole, trucchi, smorfie, analisi psicologiche – “sono fondamentali” – tempi comici. E opere d’arte. Imitatore e artista, questo è. Imitatore da quaranta e passa anni, una lunga gavetta nel curriculum, i riflettori di “Striscia la notizia” a consacrarlo. Ora è in tour teatrale con “Lo Spettacolo di Ballantini- conseguenze di 40 anni nei panni degli altri”, il 4 febbraio anche al teatro Brancaccio di Roma).
I suoi primi palchi.
Tante Feste de l’Unità e per quasi tutta la Toscana; (ci pensa) oltre al palco stavo spesso con mio padre dietro la bancarella dei libri; (cambia tono) aggiungo i night club.
I night con le spogliarelliste?
Certo, pure all’estero.
Li ricorda bene.
Sì, per l’attività frenetica che c’era sotto al tavolo.
E con lei?
Non mi filavano tanto.
Dolore.
Ma come potevano? Avevo un repertorio composto da Dario Fo, Paolo Conte o Ray Charles: tutte imitazioni sofisticate, mentre quelli armeggiavano.
Le spogliarelliste non distraevano pure lei?
(Sospira) Mica tanto, ho sempre avuto un approccio da perfezionista. Anche oggi vivo nel perenne stress di avere fatto tutto bene; (ci ripensa) oh, comunque non sono stato un santo.
Però è stressato.
Tra quadri e imitazioni non dormo la notte: rimugino.
Il successo non attenua l’ossessione.
Ne ho parlato pure con gli psicologi. Il problema è che mi manca il divertimento.
Come mai?
È talmente alta l’osservazione da fuori, per risultare critico con me stesso, da non lasciarmi andare.
Mai?
Ho degli sprazzi.
Quando?
Negli anni di Valentino (Garavani) perché era un personaggio bizzarro e libero di improvvisare: era una specie di maschera di commedia dell’arte che si adattava a tutto.
Valentino non ne poteva più. Ha dichiarato: “Evitavo di accendere la tv perché mi ritrovavo ovunque”.
Poverino, l’ho massacrato.
Oltre a Valentino?
Proprio Gino Paoli, perché riuscivo a far ridere con uno così mollo.
Qualche personaggio le è venuto a noia?
Forse Matteo Salvini.
Come mai?
Forse sono io che non riesco a renderlo così buffo, diventa sempre pesantone com’è lui.
O è lei che non vuole regalargli un lato umano.
Ecco, questo è il punto: a tutti i miei personaggi ho regalato un lato di tenerezza, mentre dovrei essere più graffiante.
Il politico indisponente.
Quando diventano premier cambino totalmente.
Chi?
Matteo Renzi prima era raggiungibile, accettava gli sketch. Da presidente del Consiglio è stata la fine.
L’hanno mai confusa per il personaggio reale
Sempre. Anche vestito da Papa Francesco: una volta siamo scappati in macchina dalla zona del Vaticano inseguiti da un’orda di fedeli peruviani; (pausa) però ricordo lo sguardo d’amore di uno di loro.
Gigi Proietti dedicava lezioni intere su come si ringrazia il pubblico alla fine dello spettacolo.
A me non riesce e me lo dicono tutti.
Che succede?
Mi imbarazzo. Prendo l’applauso, quasi lo stoppo.
Ora dirà che è timido.
Riservato.
Vantaggio della fama.
Le persone si rapportano a te con una maggiore affabilità.
Ed economico?
Non amo il lusso.
Niente.
Non amo le automobili, i vestiti, gli orologi, i viaggi costosi. Il vantaggio è poter catalogare le mie opere, incorniciarle, sistemarle.
Antonio Ricci.
Tostissimo. Ma con i tostissimi vado d’accordo; (silenzio) se non fosse così tosto, non avrebbe avuto questa carriera.
Ricci è celebre per gli scherzi a chi lavora con lui.
A Livorno i carabinieri fecero esplodere la mia valigia con dentro le parrucche: erano convinti che dentro ci fosse una bomba. Allora lui e Fantoni realizzarono una finta denuncia dei carabinieri con su scritto che non potevo uscire dall’Italia per procurato allarme; i carabinieri gli hanno rivolto i complimenti perché il documento era perfetto.
Ma la valigia?
Ero partito per Milano e l’avevo dimenticata sotto casa. Allora chiamai la mia ex moglie per chiederle il favore di recuperarla. Ci andò. E lì vide l’area transennata “attenzione, forse c’è una bomba”. Non fece in tempo a urlare “fermi!” che saltò in aria. Tutte le parrucche bruciate.
Qualcuno dei suoi imitati l’ha ringraziata?
Tony Renis, Adriano Pappalardo… Io li studio.
A fondo.
Mi viene facile. Stessa cosa con Morandi: lui ama dare consigli, incoraggiare, sollevare gli animi. Eppure non lo sapevo. L’ho capito guardandolo, poi i suoi amici mi hanno confermato che avevo colto il suo aspetto.
È mai stato invidioso?
Di Corrado Guzzanti quando ha avuto tutto quello spazio che è diventato mitologico.
Ha fatto uno spettacolo su Lucio Dalla.
Ero un fan-stalker: so tutto di lui.
E com’era?
Schietto, generoso, meraviglioso. Solo.
Lei è solo?
Lo siamo un po’ tutti.
Quante volte ha pensato di mollare?
Parecchie, poi subito sentivo una vocina interiore che diceva: “Per mollare ci devono essere dieci più bravi di te”. Questi dieci non li ho mai trovati.
Lei chi è?
Un artista non mancato.
(La versione integrale dell’intervista sul Fatto quotidiano di oggi)
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