Psicologa a Stoccarda. “In Italia tanti come me si formano e poi devono reinventarsi. Ora faccio quello che ho sempre desiderato”
Il talento inascoltato urla, e prima o poi qualcuno lo sente. È successo a Laura Gazzella, psicologa del lavoro originaria di Pescara e in Germania dal 2012. Fino ai 32 anni ha provato a restare in Italia specializzandosi in diversi ruoli, dalla psicoterapeuta per bambini alla formatrice, ma non è mai riuscita a trovare stabilità. Così una sera ha mandato un curriculum all’estero e l’insoddisfazione si è trasformata in un biglietto di sola andata per Stoccarda, dove oggi occupa una posizione da dirigente esattamente nel campo per cui ha studiato: la psicoterapia per il lavoro. “Quello che mi genera rabbia e tristezza è che in Italia non si riesce quasi mai ad avere il posto che spetta – racconta a ilfattoquotidiano.it -. Io non mi sono accontentata e ho fatto della mia passione la mia professione, ma chi mi vede da fuori non sempre capisce che in cambio ho dovuto lasciare casa mia, con sacrifici enormi”.
Per Gazzella il dispiacere è forte anche perché la sua professione in Italia esiste e, se funzionasse, non sarebbe stato necessario partire. Si è laureata in Psicologia del Lavoro alla Sapienza di Roma, poi ha preso un master in Psicologia scolastica all’Università di Chieti-Pescara, poi un master in Counseling e problem solving strategico, e nel frattempo è diventata psicoterapeuta. Se ripensa al giorno in cui ha scelto di lasciare l’Italia visualizza il momento preciso in cui ha capito che non aveva senso restare. “Nessuno credeva in me – dice -, mi ha spinta a partire l’ennesima ingiustizia subita: lavoravo come psicologa scolastica con piccoli contratti, avevano promesso di stabilizzarmi da lì a poco ma una persona con amicizie più rilevanti delle mie mi è passata davanti”. Dopo giorni di ricerche per un nuovo impiego, ha trovato una posizione a Stoccarda in un centro per l’infanzia: “Era più vicino alla pedagogia che alla psicoterapia, ma mi andava bene”. Ai tedeschi il suo talento non è sfuggito: “Non conoscevo la lingua, mi hanno detto che avrei dovuto fare un corso intensivo già pagato, poi mi avrebbero inserita come educatrice con l’obiettivo di promuovermi a direttrice nell’arco di poco”.
Gazzella allora ha studiato tedesco otto ore al giorno per tre mesi e ha iniziato a lavorare, ma nel frattempo ha sentito il richiamo verso la psicoterapia. “Ho visto una posizione aperta per una struttura di accoglienza per minori stranieri non accompagnati e ho mandato il curriculum”, racconta. Anche a loro le sue capacità non sono sfuggite. Ci è rimasta per quattro anni dal 2016, nel pieno della crisi europea dei rifugiati, dopo che perfino Angela Merkel aveva sospeso temporaneamente il trattato di Dublino per accogliere più migranti. Il ruolo di Laura era accompagnare i minori nel superamento dei traumi: “Un lavoro bellissimo ma doloroso, i ragazzi avevano vissuto torture, violenze, erano da soli al mondo e non sempre è stato facile averci a che fare”.
La sua vera vocazione però ha bussato alla porta nel 2020, quando un centro di riabilitazione legata al lavoro ha aperto una posizione a Stoccarda e l’ha selezionata. “Era quello che ho sempre voluto fare: aiutare le persone a riprendere la carriera dopo una malattia mentale”. La struttura, Berufliches Trainingszentrum Rhein-Neckar (letteralmente Centro di formazione professionale Reno-Neckar) è un’organizzazione privata con circa dieci sedi in Germania. Nel centro – in cui dal 2025 Gazzella ha ricevuto l’incarico di dirigere l’area del servizio psicosociale – si reca chi ha subito mobbing o ha sviluppato stress e disturbi mentali legati alla professione.
“Spesso chi arriva da noi ha smesso di dormire o mangiare, ha avuto burnout o attacchi di panico, e il medico di base gli ha prescritto un periodo di malattia più lungo di 5-6 settimane”. A quel punto i pazienti possono recarsi in struttura e il sistema di previdenza sociale tedesco sostiene le spese di terapia per un anno. Il percorso (non farmacologico) dura un anno e prevede incontri con psicoterapeuti, job coach, formatori. In parte mira a superare un momento difficile, ma l’obiettivo di lungo termine è rientrare al lavoro o trovarne un altro che sia soddisfacente. “Molti ci dicono ‘devo funzionare ma non ci riesco’, spesso sono giovani sopraffatti dalle logiche delle aziende tradizionali ma tanti sono manager che hanno avuto un crollo dopo essere arrivati in cima”. Difficilmente, racconta Gazzella, le persone tornano dove sono state male, spesso trovano lavoro in un’azienda più affine ai loro ritmi. “È un fenomeno in crescita – spiega – il segno di una Germania che ha capito che nella vita non conta soltanto il lavoro ma anche le emozioni”. Un sistema che potrebbe aiutare anche i professionisti italiani, ma che per adesso non sembra esistere nel nostro Paese: “È un peccato, in Italia tanti psicologi si formano e poi devono reinventarsi in altre professioni, eppure sarebbero utili sia nelle scuole che per i lavoratori”.
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