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Da Trump a Trump, lo scrittore Stefano Rizzo: “Il più grande piano di lotta al cambiamento climatico non è bastato a far vincere i dem”

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“Combattere la deforestazione e il degrado del territorio, azzerare le emissioni al 2050, divieto di esplorazione di petrolio e gas nei terreni federali, blocco del contestato oleodotto Keystone che doveva attraversare tutti gli Usa, passando su territori indiani, stanziamento di centinaia di miliardi su eolico, fotovoltaico, nucleare, risparmio energetico, colonnine e auto elettriche (con incentivi fiscali per queste ultime fino a 7.500 dollari ciascuna, Tesla inclusa): tutto questo è stato fatto da Biden, con il famoso Inflation Reduction Act, durante i primi due anni di presidenza, il più grande piano di lotta al cambiamento climatico mai fatto negli Usa. Eppure, non è servito a far vincere i democratici”. Stefano Rizzo, scrittore, docente, esperto di politica americana, ha scritto numerosi saggi di cui l’ultimo, appena uscito per Castelvecchi, è Da Trump a Trump: la presidenza Biden e la sconfitta dei democratici. Dove partendo dal primo mandato di Donald Trump arriva all’oggi, al suo ritorno alla Casa bianca analizzando le diverse vicende dei quattro anni di presidenza Biden.

Quali sono stati i punti caratterizzanti della prima amministrazione Trump?

È stata improntata a rovesciare tutto ciò che aveva fatto la precedente amministrazione di Barack Obama dal 2009 al 2017. In particolare – ed è stato il rovesciamento più eclatante – le scelte sull’ambiente. Obama aveva nominato John Kerry inviato speciale sul clima. Così era diventato uno dei negoziatori principali degli Accordi di Parigi del 2015 cui Obama aderì convintamente. Trump esce sia da quelli, che dall’Oms, dall’Unesco e da altre organizzazioni internazionali: fin da allora per lui America First vuol dire distacco dalla comunità internazionale.

Quindi le parole d’ordine del Trump di oggi sono le stesse?

Le parole sono le stesse ma è cambiato Trump, che nei quattro anni di amministrazione Biden si è incupito e incanaglito. Durante il primo mandato aveva cambiato più volte i suoi collaboratori e ministri, alcuni dei quali si rifiutavano di eseguire ordini improponibili e contrari alla legge, così faceva come quando era sul set della sua trasmissione “The Apprentice” e li licenziava: dal consigliere per la sicurezza nazionale, al ministro della Difesa, al ministro della Giustizia e tanti altri: un turbinio continuo. Oggi ha imparato la lezione e sceglie solo fedelissimi, anche senza alcuna competenza. Basti pensare che la persona che ha nominato a capo dell’Agenzia per l’ambiente, un repubblicano di New York, non ha alcuna esperienza politica né competenza scientifica in materia dell’ambiente. Per questo la situazione è diversa e molto più pericolosa.

Ma dal punto di vista economico il primo Trump cosa fece?

Il suo principale provvedimento è stata una riforma fiscale che ha abbassato per i successivi dieci anni le tasse alle fasce più ricche, seguendo la vecchia convinzione, che non ha mai funzionato, per cui se abbassi le tasse a ricchi e ricchissimi i benefici arrivano anche in basso, la cosiddetta “trickle-down economics” dei tempi di Reagan. Al contrario oggi negli Stati Uniti il divario tra ricchi e poveri è aumentato. Certo la borsa durante gli anni di Trump è cresciuta e così il Pil, ma poi è arrivato il Covid che lui non è stato capace di affrontare, proponendo cure assurde e pericolose. Gli Stati Uniti sono stati sull’orlo del tracollo, primo al mondo come numero assoluto di morti.

Biden, invece, si è contraddistinto soprattutto per le politiche ambientali.

Esatto. Appena eletto, con ordine esecutivo fa rientrare gli Usa negli Accordi di Parigi e in tutte le organizzazioni internazionali dalle quali Trump era uscito. A fine 2021 vara il cosiddetto Infrastructure Act, per ricostruire le fatiscenti infrastrutture degli Usa: porti, ponti, ferrovie, autostrade, reti di elettrodotti, favorendo con incentivi fiscali il trasporto su ferro e costruzioni ecosostenibili. È il “Green New Deal” (con riferimento al New Deal di Roosevelt), che verrà ulteriormente ampliato e finanziato l’anno dopo con il già citato Inflation Reduction Act.

Come mai, allora, Biden ha fallito?

Purtroppo l’immissione di oltre 1000 miliardi per l’Infrastructure Act e di 500 miliardi per l’Inflation Reduction Act, quasi il doppio del Recovery Plan europeo, ha immesso una enorme quantità di denaro sul mercato, che unita alla scarsità di beni provocata dal Covid ha causato un drammatico aumento dei prezzi. Negli ultimi due anni l’inflazione era ritornata ai livelli pre-Covid del 2019, ma la percezione da parte della popolazione di una inflazione fuori controllo è rimasta ed è stata uno dei motivi della sconfitta dei democratici. E poi va ricordata un’altra cosa.

Quale?

Al di là del deterioramento fisico di Biden, per spiegare il “fallimento” della sua amministrazione bisogna tenere a mente che nelle elezioni di midterm del 2022 i democratici persero la maggioranza nella Camera dei rappresentanti. Il che significa che da quel momento tutti i principali provvedimenti della Casa bianca vengono bloccati o bocciati e Biden diventa una cosiddetta una lame duck, un’ “anatra zoppa”. Nei primi due anni era riuscito ad attuare una serie di importanti provvedimenti a tutela delle classi più povere grazie all’appoggio della sinistra del partito (Bernie Sanders, Alexandria Ocasio Cortez). Ora non ha più i voti per farlo.

Per questo, insomma, Trump ha vinto in larga misura?

Faccio notare che, in realtà, non ha vinto in larga misura. Non ha raggiunto il 50 per cento del voto popolare, e solo il 63 per cento delle persone ha votato, tre punti in meno della volta precedente. Se i voti del partito repubblicano sono aumentati è anche perché nel 2024 ci sono stati 4,5 milioni di elettori in più a causa della crescita demografica. Alla camera, Trump ha la maggioranza per soli tre seggi; il che vuol dire che non può forzare la mano oltre un certo punto. In ogni caso cercherà di attuare il suo programma economico.

Quale e con quali conseguenze?

“Drill baby drill”, ovvero scavare pozzi di petrolio, frenare l’elettrico, anche se le case automobilistiche hanno fatto enormi investimenti per riconvertirsi e non sarà facile tornare indietro. Togliere gli incentivi alle rinnovabili, inoltre, significherebbe uscire totalmente dal mercato, visto che Cina – primo produttore di pannelli solari, batterie e macchine elettriche – ed Europa invece sovvenzionano ampiamente le rinnovabili. E per rendere i prodotti made in Usa competitivi non basteranno i nuovi dazi promessi da Trump.

Ma i giudici non possono fermare alcune sue riforme, specie le peggiori?

I giudici potranno fare qualcosa per arginare i provvedimenti più iniqui e contrari alla Costituzione. Ma non dimentichiamo che negli Usa i giudici federali sono nominati dal presidente che, attraverso l’“Attorney general”, è anche il titolare della pubblica accusa. Inoltre la Corte suprema è già adesso a larga maggioranza repubblicana e conservatrice. Insomma, i famosi pesi e contrappesi si stanno, purtroppo, molto erodendo. Nei prossimi mesi e anni l’antica democrazia americana potrebbe essere sostituita da una nuova forma di autocrazia.

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