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“Arrestati in Tunisia, picchiati e venduti alle milizie libiche per 30 euro”: un dossier denuncia la “tratta di Stato con i fondi Ue”

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“Ci hanno picchiato, torturato, ci hanno preso telefoni e soldi. Ci hanno costretto a caricare i corpi di chi non ce l’ha fatta”. Questo è solo uno dei passaggi più espliciti, tra le 30 testimonianze di persone migranti selezionate per la loro solidità nel rapporto “Tratta di Stato sulle espulsioni e la vendita di migranti dalla Tunisia alla Libia”. Presentato oggi, mercoledì 29 gennaio, dal gruppo di ricercatori europei RR[X] a Bruxelles, con il sostegno di europarlamentari dei gruppi S&D, Sinistra e Verdi (tra i quali Cecilia Strada, Ilaria Salis e Leoluca Orlando) è una denuncia circostanziata di pratiche che, secondo le testimonianze, si ripetono dal giugno del 2023.

Traffico di esseri umani sostenuto indirettamente dagli accordi finanziati dall’Unione Europea, perché i mezzi utilizzati sono quelli forniti dal memorandum UE-Tunisia di due anni fa. Accordo con il presidente tunisino Kaïs Saïed fortemente voluto dall’Italia, che ha svolto un ruolo da capofila, con almeno quattro viaggi di Giorgia Meloni a Tunisi per negoziare l’intensificazione dei controlli alle frontiere e il finanziamento di mezzi e infrastrutture militari. A leggere il lungo e dettagliato dossier presentato al Parlamento Europeo, la volontà di “inseguire i trafficanti su tutto il globo terraqueo”, si sarebbe indirettamente declinata nel finanziamento degli stessi. Le testimonianze descrivono una filiera di violenze e abusi che va dalla cattura alla successiva detenzione in condizione inumane e arriva alla vendita alle milizie libiche per le già note pratiche di detenzione a scopo di ricatto, vendita e tortura.

A seguito delle intercettazioni in mare o mentre si trovano sul territorio in attesa di trovare un’opportunità di imbarco, le persone migranti subsahariane, giunte in Tunisia con l’obiettivo di raggiungere diversi paesi europei sbarcando in Italia, vengono arrestate arbitrariamente dalle autorità tunisine con pretesti di volta in volta diversi. Al termine “arresto” i ricercatori preferiscono il termine “cattura”, “perché non si tratta di arresti formalizzati come tali”. Neppure sulla base delle leggi tunisine ci sarebbero condizioni legali sufficienti per questi fermi. “Se avessimo saputo, avremo potuto resistere – si legge in una testimonianza – Con noi c’erano anche due studenti, entrati legalmente in Tunisia”. Le vittime vengono trasferite in strutture di detenzione vicino al confine con la Libia: “Ti ammanettano, ti picchiano e ti fanno sedere”, si legge nel report: “Ci hanno torturato così, con botte, senza acqua, senza cibo, nessuna ong, solo la Garde. Poi sono arrivati i bus, ci hanno perquisito e preso telefoni e soldi. Ti picchiano, ti torturano e ti caricano sul bus. C’erano mamme e bimbi, perquisivano anche loro”.

Nei centri di detenzione al confine tra Tunisia e Libia, dove le persone sarebbero trattenute fino a 30 giorni, gli uomini vengono trattenuti in gabbie di cui i ricercatori mostrano alcune immagini. Qui molte donne denunciano di aver subito aggressioni: “Tutte le donne sono state brutalizzate, e sottratti con violenza i loro beni” denuncia una delle 22 donne. “C’erano alcune che non volevano essere perquisite e allora sono state picchiate. Gli uomini ci picchiavano con un manganello mentre una donna poliziotto ci guardava, seduta. Guardavano persino nel sedere per vedere se c’era del denaro e il telefono”.

Nelle rare circostanze in cui ad assistere alla procedura c’erano anche funzionari dell’Oim, alcuni testimoni raccontano che avrebbero di trattative per un ‘ritorno volontario’ verso il paese di provenienza, al posto dell’espulsione verso la Libia o l’Algeria.
Segue una lunga serie di testimonianze come queste: “Abbiamo visto un poliziotto picchiare una donna e abbiamo voluto reagire, era una donna incinta. Hanno iniziato a lanciarci lacrimogeni, poi ci hanno ammanettato e caricato su dei veicoli”, “Fanno domande che non capiamo e ci picchiano. Poi ci fanno salire su due bus e partiamo verso la Libia. La Garde Nationale ha rubato tutto quello che avevamo e distrutto i telefoni”.

Le strutture in cui le persone vengono concentrate presentano condizioni disumane: “Campo dopo campo, i prigionieri sono soggetti agli stessi rituali di perquisizione, violenza e umiliazione”. Mancanza di cibo, acqua e cure mediche, violenze sistematiche e torture con uso di barre di ferro, bastoni, pistole taser, minacce con cani, proiettili sparati in aria: “In diverse testimonianze si menzionano situazioni in cui i prigionieri muoiono per le violenze e le assenze di cure. In questi casi i corpi vengono trasportati in luoghi sconosciuti dopo essere caricati sui pick-up e altri mezzi militari”.

Violenze e tortura hanno l’obiettivo di disincentivare ogni ipotesi di ritorno in Tunisia. Dopo un periodo di detenzione nelle condizioni descritte, che può arrivare a 30 giorni, le autorità tunisine consegnano le persone migranti alle milizie libiche o ad altri gruppi armati, in cambio di denaro, carburante o hashish: “Una costante fra i venditori è la presenza di personale in uniforme dal lato tunisino. Variabile è la tipologia degli acquirenti dal lato libico”. Le testimonianze riportano la presenza di “gruppi interamente in uniforme e con mezzi ufficiali, gruppi misti e milizie prive di uniforme”. Nelle operazioni documentate i prigionieri venduti sono uomini, donne, coppie, donne incinte, bambini e minori: “Le donne hanno un valore di mercato superiore. Vengono trattati in ogni singola operazione gruppi da 50 fino a 150 persone”. “Vendevano gli uomini a 100 dinari (circa 30 euro, ndr) e le donne a 300 dinari (circa 90 euro, ndr)- riferiscono diverse testimonianze – facevano scambi in denaro. Erano armati e in uniforme militare”.

Il lungo rapporto si concentra su cinque fasi: la “cattura” (collettiva, arbitraria, basata sulla ‘profilazione razziale’); il trasporto verso la frontiera tunisino-libica; il ruolo dei campi di detenzione alla frontiera tunisina; il passaggio e la vendita a corpi armati libici; l’ormai assodata detenzione nelle prigioni libiche sino al pagamento del riscatto. Con il supporto dei giuristi dell’Asgi, viene ricostruito un preciso “sommario” delle violazioni del diritto internazionale, con reati che vengono classificati sotto il termine di “crimini di Stato”: crimini contro l’umanità, detenzione arbitraria, discriminazione e incitazione all’odio razziale, respingimenti collettivi, riduzione in schiavitù, sparizioni forzate, tortura e trattamenti inumani e degradanti, tratta e violenza di genere.

La vendita di esseri umani alla frontiera da parte di apparati di polizia e militari tunisini e l’interconnessione fra questa “infrastruttura dei respingimenti” e “l’industria del sequestro” nelle prigioni libiche viene così ricostruita nel dettaglio. La tesi sostenuta dai dati presentati nel report è che questo “sistema basato sulla vendita di esseri umani” sia strutturato dagli stessi apparati dello stato tunisino. Gli europarlamentari che hanno deciso di presentare il dossier a Bruxelles, intendono ridiscutere lo statuto di “paese sicuro” assegnato alla Tunisia e il suo ruolo di partner e beneficiario economico della frontiera esterna dell’Unione, con lo stanziamento di oltre 150 milioni di euro negli ultimi due anni.

Tra 2023 e 2024 la Tunisia ha bloccato oltre 100mila persone in fuga, di cui oltre l’80% provenienti dall’Africa sub-sahariana, la maggior parte dei quali è stata successivamente violentemente espulsa verso Algeria e Libia: “Queste testimonianze fanno luce sulle modalità con cui la Tunisia ha reso possibile, negli ultimi anni, la drastica riduzione degli arrivi in Italia lungo la rotta del Mediterraneo centrale e l’aumento delle intercettazioni in mare da parte della Garde Nationale Tunisienne”.

Se incentivare i blocchi delle partenze era la precisa volontà comunitaria, le autorità tunisine sarebbero andate “ben oltre il mandato previsto, deportando le vittime nel deserto o vendendole alle milizie libiche, in violazione della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, quella contro la tortura e altre normative internazionali sui diritti umani​”. “Il progetto di ricerca in origine voleva studiare la vita negli accampamenti e l’organizzazione sociale dei viaggi” spiega uno dei ricercatori, che avendo ancora colleghi sul campo hanno preferito mantenere una forma anonima “ma a partire dall’estate del 2023 abbiamo iniziato a raccogliere ripetute testimonianze di ‘vendita’ e ‘scambio’, per questo abbiamo deciso di focalizzare le interviste per confrontare e verificare queste testimonianze, moltiplicando e diversificando le fonti e approfondendo i dettagli spazio-temporali degli eventi”.

Molte delle persone che hanno testimoniato la tratta sono riuscite a raggiungere l’Europa (Belgio, Francia, Italia), altre sono state rimpatriate nei paesi di origine o si trovano ancora in Libia. “Il report non pretende di ‘costruire una verità giudiziaria’, ma molte delle persone coinvolte nell’indagine, ora in Europa, sono intenzionate a portare avanti le proprie denunce per “avere giustizia rispetto a una violenza istituzionale subita”.

Questo pomeriggio a Bruxelles un secondo incontro, organizzato da un gruppo di europarlamentari di S&D, Left e Verdi/Ale, riporterà ulteriori testimonianze e dettagli. “Per anni i nostri governi ci hanno raccontato che era necessario fare accordi con la Libia e con la Tunisia per sconfiggere il traffico di esseri umani, per combattere i trafficanti. La verità è proprio il contrario – denuncia l’europarlamentare Cecilia Strada – Sono le autorità libiche e tunisine che gestiscono il traffico di esseri umani e che sono responsabili di indicibili abusi e violenze, stupri e torture sulle persone migranti. Ecco cosa succede davvero, oltre alla propaganda, con i soldi delle cittadine e dei cittadini europei”.

Solo l’Italia, dal 2017 a oggi, ha speso circa 75 milioni di euro nell’equipaggiamento e nella “formazione” delle guardie di frontiera tunisine, prima attraverso il cosiddetto “Fondo migrazioni”, poi attraverso il “Fondo di premialità per le politiche di rimpatrio”. Nell’incassare i finanziamenti, la Tunisia ha in più occasioni chiarito che non voler diventare “un hub delle migrazioni dirette in Europa”, ma in assenza di un sistema di asilo interno, “inevitabilmente al blocco del transito verso l’Europa da parte della Tunisia seguono violenti meccanismi di espulsione”

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