Almasri, il “general manager” in Europa con tre nazionalità e otto carte di credito. Chi è e perché Meloni è accusata di favoreggiamento
Dopo l’arresto, il rilascio e l’espulsione con volo di Stato del generale libico accusato dall’Aja di crimini di guerra e contro l’umanità, il 23 gennaio l’avvocato ed ex senatore Luigi Li Gotti, in qualità di “cittadino indignato”, ha denunciato per favoreggiamento personale e peculato Giorgia Meloni, i ministri dell’Interno e della Giustizia, Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti, Alfredo Mantovano. Per girare l’esposto al Collegio dei reati ministeriali, il Procuratore di Roma Francesco Lo Voi ha dovutamente iscritto i quattro nel registro degli indagati. Ma l’atto dovuto è stato considerato ostile, parte di una strategia “per ostacolare la riforma della giustizia”, sostiene la maggioranza di governo accusando toghe e opposizione. Quanto al merito della vicenda Almasri, in quanto indagati, i due ministri hanno subito cancellato la loro informativa, attesa per oggi in Parlamento. Potrebbero parlare comunque, ma adesso hanno un buon motivo per non farlo. “Ministri che dovevano riferire su un fatto importantissimo non lo possono più fare perché certa magistratura si è voluta sostituire al Parlamento e alla democrazia”, si è lagnato oggi in Senato il forzista Alberto Balboni. Insomma, continua a valere tutto, almeno per ora. E se da un lato la Corte penale internazionale ha chiesto chiarimenti per il rimpatrio di un ricercato per crimini come tortura, stupro e omicidio, Meloni e soci ribattono che la Corte dovrà spiegare come mai, se Almasri era in Europa da 12 giorni, il mandato è stato spiccato solo una volta entrato in Italia: “Perché non l’hanno arrestato prima?“.
Il “general manager” col Rolex – Il capo della polizia giudiziaria libica, il generale di brigata Osama Najeem Almasri, atterra a Roma il 6 gennaio. Si reca poi in Inghilterra, Belgio e Germania dove, sabato 18 mattina, si informa sulla possibilità di riconsegnare a Fiumicino l’auto noleggiata. Proprio dall’autonoleggio sarebbe partito l’alert che ha portato al mandato della Corte dell’Aja, spiccato quando Almasri era in viaggio verso Torino, dove la sera stessa è andato allo stadio per il match Juventus-Milan. In un articolo su Avvenire, Nello Scavo chiarisce che Almasri non era uno sprovveduto in vacanza, né all’oscuro delle indagini internazionali a suo carico, anzi. Infatti ha con sé una patente turca, una carta d’identità turca e un’altra della Repubblica di Dominica, paradiso fiscale che non concede la cittadinanza a squattrinati, ma offre vantaggi fiscali e la possibilità di muoversi agilmente in 40 Paesi. E poi otto carte di credito emesse da Regno Unito e Turchia, la chiave di una stanza di un albergo milanese e quella di un resort di lusso a Istanbul. Non ultimi, biglietti da visita dove risulta “general manager” delle società Al-Asale Al-Dahabiye 1 e 2, anch’esse turche, e un Rolex appena acquistato per decine di migliaia di euro che nessun ufficiale libico potrebbe permettersi col solo stipendio. Questo il “soggetto pericoloso” che Piantedosi ha deciso di espellere, proibendogli di rientrare in Italia per 15 anni.
Le accuse contro Almasri – Secondo Li Gotti, già sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi dal 2006 al 2008, “il reato di favoreggiamento personale viene commesso da chiunque aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti”. Per Li Gotti, l’inerzia di Nordio, che ha di fatto impedito la convalida dell’arresto, e la fretta di Piantedosi di rimpatriarlo a bordo di un jet dei servizi, non senza il coinvolgimento di Palazzo Chigi, avrebbero permesso ad Almasri di sottrarsi al mandato dell’Aja. Che lo accusa di crimini di guerra e contro l’umanità dal 2015 all’ottobre 2023 nel carcere di Mitiga (Tripoli), da lui diretto. Le violenze documentate includono torture, violenza sessuale (anche su minori), omicidi e tentati omicidi. Almasri avrebbe partecipato direttamente o ordinato violenze a detenuti, incluse percosse, ferimenti con armi da fuoco e lavori forzati. Nel periodo considerato sono 5.140 le persone imprigionate a Mitiga in condizioni disumane, almeno 34 le morti dovute alle violenze, al sovraffollamento e alla mancanza igiene e di cure. “Almasri con la sua milizia controlla diverse prigioni e campi di detenzione libici dove sono detenuti terroristi, attivisti, oppositori politici, giornalisti e centinaia di stranieri migranti”, scrive Scavo su Avvenire, citando quanto scoperto dall’ONU: attraverso la gestione dei centri di detenzione Almasri è a capo di un sistema illegale di traffico di migranti che prevede l’intercettazione in mare, il trasferimento nei centri, abusi e nuova consegna agli scafisti.
Dall’arresto al rimpatrio – Sabato 18 gennaio il presunto torturatore arriva in Italia. La sera, a Torino, viene fermato per un controllo. Nel frattempo la Corte penale internazionale ha emesso il mandato e richiesto l’arresto a diversi Stati tra cui l’Italia, attraverso canali diplomatici e un’allerta Interpol. All’alba di domenica 19 la Digos lo arresta e lo trasferisce nel carcere delle Vallette. La competente Corte d’Appello di Roma riceve la richiesta di convalida dell’arresto e così il ministero della Giustizia. Ma nonostante l’obbligo legale, Nordio non agisce. Lunedì 20 la Procura generale della Corte d’appello invia una comunicazione urgente a Nordio, sollecitando le sue richieste, ma non riceve risposta. Così, martedì 21, la Procura generale chiede alla Corte di dichiarare “la irritualità dell’arresto in quanto non preceduto dalle interlocuzioni con il Ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte Penale”. Il mancato intervento di Nordio, previsto dalla legge, avrebbe impedito la convalida entro il termine delle 48 ore dall’arresto. La necessità di un’autorizzazione ministeriale preventiva all’arresto rimane questione dibattuta, ma ha convinto la Corte che infatti nel pomeriggio di martedì ordina la scarcerazione. Poco dopo, alle 16.00, Nordio fa sapere che “sta valutando” le carte dell’Aja. Tuttavia, già dal mattino è a Torino il jet dei servizi sul quale, grazie al decreto di espulsione di Piantedosi, Almasri verrà immediatamente imbarcato per atterrare a Tripoli alle 21.45 dello stesso giorno, tra gli applausi festanti dei colleghi e di quei miliziani che, vicini al Governo di unità nazionale, a Tripoli hanno ormai un enorme potere. In una nota stampa del 23 gennaio, l’Aja scriverà che “il 21 gennaio 2025, senza preavviso o consultazione con la Corte, Osama Elmasry Njeem sarebbe stato rilasciato e riportato in Libia. La Corte sta cercando, e non ha ancora ottenuto, una verifica da parte delle autorità sui passi che sarebbero stati compiuti”. Il governo, finora, riassume così: il rilascio è una decisione autonoma della magistratura e il rimpatrio una questione di “sicurezza”. Anzi, “grazie al governo per aver difeso gli italiani portando in Libia una persona che in Italia era bene che non ci fosse“, ha dichiarato il responsabile dell’organizzazione di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli.
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