Armi da guerra e cocaina sequestrate a Gioia Tauro, tre giorni di lavoro e una escavatrice per dissotterrare i bidoni
Un arsenale e sei chili di cocaina sono stati trovati dai carabinieri a Gioia Tauro. Nell’ambito di un’indagine, coordinata dal procuratore di Palmi Emanuele Crescenti, i militari dell’Arma hanno eseguito nei giorni scorsi una perquisizione all’interno di un’azienda agricola il cui titolare è stato denunciato per traffico di armi e droga. La cocaina e l’arsenale erano nascosti all’interno di bidoni metallici sigillati e sotterrati a più di due metri di profondità. L’operazione è durata circa tre giorni, il tempo necessario per individuare il punto preciso in cui erano state occultate le armi. Il recupero delle stesse ha richiesto anche un’escavatrice per raggiungere i contenitori posizionati in una zona scelta per eludere eventuali controlli.
Oltre a duemila munizioni, tra le armi sequestrate e avvolte nel cellophane c’erano diverse pistole e una ventina di fucili, alcuni da guerra come gli M4 e gli AK-47, il famoso kalashnikov. Dentro i bidoni, inoltre, erano nascoste almeno sette bombe a mano, del tipo con la spoletta, e sei panetti di cocaina da un chilo ciascuno. Secondo il comandante della Compagnia Nicola De Maio, “le armi provenivano dal mercato nero o erano state oggetto di furto o di smarrimento”. In ogni caso, per il capitano dei carabinieri “erano immediatamente disponibili e, per le condizioni in cui si trovavano, erano subito pronte all’uso”.
Non è chiaro come gli inquirenti siano arrivati a scoprire e sequestrare l’arsenale e la droga. I dettagli dell’inchiesta sono ancora coperti dal segreto di indagine, ma non è escluso che il punto preciso dove erano state occultate le armi e la cocaina sia emerso nell’ambito di un’intercettazione o grazie a una fonte confidenziale dei carabinieri che, adesso, stanno adesso lavorando per ricostruire i contorni della vicenda. Per la quantità di droga sequestrata, ancora divisa in panetti che se immessi nel mercato avrebbero fruttato circa mezzo milione di euro, e per la tipologia di armi trovate, si sospetta che l’arsenale appartenga alle cosche locali della Piana di Gioia Tauro.
In queste ore, gli investigatori stanno passando al setaccio parentele e frequentazioni del titolare dell’azienda agricola e dei soggetti che avevano accesso all’area in cui sono state trovate le armi. Il fatto che il proprietario del terreno non sia stato arrestato, lascia pensare che qualcuno possa aver nascosto le armi a sua insaputa. Di certo se dalle verifiche, disposte dalla Procura di Palmi, dovessero emergere eventuali collegamenti con organizzazioni criminali attive nel territorio, il fascicolo di indagine sarà trasmesso alla Direzione distrettuale antimafia. L’ufficio, guidato dal procuratore Giuseppe Lombardo, sta già indagando su un sequestro di armi avvenuto nei giorni scorsi nell’ambito di un’altra inchiesta in corso a Reggio Calabria. Si tratta di un sequestro realizzato ad Arghillà, nella periferia nord della città dello Stretto, in una zona dove sono residenti molti esponenti della comunità rom che, da diverse inchieste, sarebbero in contatto con la ‘ndrangheta.
Anche in quel caso, i carabinieri hanno trovato armi da guerra e munizioni occultata dietro un muro, all’ultimo piano di un edificio. Tutto il materiale era nascosto all’interno di quattro barili dove c’erano anche diversi panetti di tritolo, alcuni dei quali avevano i detonatori già innescati, e numerosi componenti elettronici, utilizzabili per la realizzazione di ordigni esplosivi telecomandati o a tempo. Una vera e propria “Santa Barbara” sulla quale adesso la Dda sta indagando. Oltre a verificare chi avesse accesso allo stabile dove le armi erano nascoste, infatti, i pm stanno cercando di capire se il tritolo era solo custodito da qualcuno o se, piuttosto, serviva per un’azione programmata dalla ‘ndrangheta. In ogni caso, l’innesco già inserito nei panetti di tritolo e i fucili da guerra trovati a Reggio Calabria e a Gioia Tauro dimostrano come le famiglie mafiose hanno una grossa disponibilità di armi e sono sempre pronte ad azioni eclatanti. Attentati che potrebbero rientrare nelle “normali” dinamiche tra cosche, che in alcuni territori da tempo stanno registrando diverse frizioni, o in una logica di reazione alle istituzioni che indagano sulla ‘ndrangheta.
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