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Omicidio Attanasio, la giurista: “L’immunità ai funzionari Onu? Concessa nonostante abbiano violato le procedure. Stato può ancora agire”

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Mentre la città di Goma e parte del Nord Kivu restano occupati dai miliziani dell’M23, un incontro svoltosi a Milano venerdì 31 gennaio ha riacceso un faro su un dossier che pare scivolato in secondo piano: parliamo dell’uccisione, proprio in quella zona, dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista del World Food Programme Mustapha Milambo. Il meeting, promosso dall’associazione Amici di Luca Attanasio e dalla Rete per i Diritti, aveva come scopo quello di stimolare una riflessione sul caso dal punto di vista giuridico all’approssimarsi del quarto anniversario della tragica imboscata e a fronte di un “non luogo a procedere” che, riconoscendo l’immunità ai due funzionari del Wfp che erano stati indagati dalla procura di Roma, ha di fatto impedito l’eventuale rinvio a giudizio. Una vicenda “gravissima e giuridicamente complessa”, ha esordito Chiara Ragni, professore ordinario del Dipartimento di Studi internazionali dell’università degli Studi di Milano che ha preso parte all’incontro. La docente ha poi evidenziato alcuni dubbi e criticità nel percorso giuridico-processuale fin qui svolto.
Ilfattoquotidiano.it le ha posto alcune domande per provare a spiegare quali punti abbiano suscitato le sue perplessità.

Professoressa, partiamo da un breve riepilogo della vicenda. Sappiamo che si era giunti al non luogo a procedere perché la GUP aveva riconosciuto l’immunità per i due funzionari Wfp imputati. Ricordiamo che l’accusa di omesse cautele e omicidio colposo era dovuta al fatto che i documenti di viaggio erano stati alterati, omettendo di segnalare la presenza dell’ambasciatore e del carabiniere di scorta e indicando al loro posto la presenza di altri due dipendenti del WFP. Per questo era giunta l’autorizzazione a viaggiare senza scorta armata e veicolo blindato. Gli avvocati della difesa hanno opposto l’immunità funzionale dei loro assistiti, l’accusa invece aveva provato a sostenere che i due non fossero protetti da immunità. Ci spiega?
Si tratta di questioni complesse. Poniamoci una domanda: fornire l’elenco dei nomi dei propri funzionari in servizio (come richiedono i trattati sui privilegi e le immunità delle Nazioni Unite e delle loro agenzie specializzate) è il presupposto per stabilire se un funzionario è o meno coperto da immunità? Il quesito, attorno a cui ruota l’intera sentenza del Tribunale di Roma, è se la comunicazione dei nominativi abbia natura “costitutiva” o “dichiarativa”. Secondo la sentenza, gli elenchi non hanno natura costitutiva, cioè lo status di funzionario lo si ha indipendentemente dal fatto che il nome sia o non sia stato inserito in un elenco e comunicato al governo interessato. E sappiamo che poi dallo status di funzionario dipende il diritto all’immunità “funzionale”, ovvero legata alla funzione che si ricopre dentro a un’organizzazione internazionale. Ecco, ammesso e non concesso che ciò sia corretto, io sposterei il focus: domandiamoci se questa immunità copre tutti gli atti, anche quelli compiuti in palese violazione delle norme procedurali interne dell’organizzazione, riguardo ai protocolli di sicurezza. Questo ancora permette di godere dell’immunità funzionale? Oppure gli atti detti ultra vires, ovvero al di fuori delle regole di ingaggio, non possono e non devono rientrare sotto l’ombrello dell’immunità? Domandiamoci: se violi una norma dell’organizzazione internazionale di cui fai parte, puoi ancora godere dell’immunità che ti è riconosciuta proprio perché stai agendo nell’adempimento delle funzioni assegnate dalla medesima organizzazione?

In sintesi: i due funzionari saranno anche coperti da immunità, ma l’atto che hanno compiuto in violazione dei protocolli potrebbe non esserlo. A chi spetta stabilire se un singolo atto è coperto da immunità?
L’Onu avoca a sé questo tipo di decisioni, ha sempre sostenuto che sia di sua competenza dire cosa rientra fra gli atti che sono coperti da immunità funzionale e decidere se il dipendente ha agito o meno nell’ambito delle sue funzioni. La Corte internazionale di giustizia, ovvero il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, ha tuttavia chiarito al riguardo che il tribunale interno può eventualmente disattendere la valutazione fatta dall’Organizzazione, se ci sono ragioni impellenti che lo giustificano.

E tali ragioni impellenti qui ci possono essere? Quali?
Direi la necessità di tutelare l’ambasciatore e il carabiniere. Qui parliamo di diritto alla vita, nella sua duplice dimensione sostanziale e procedurale. Quella sostanziale è stata violata, con l’uccisione di due cittadini italiani fra l’altro nello svolgimento delle loro funzioni pubbliche. Quella procedurale consiste nell’avviare tutte le indagini possibili per ricostruire i fatti che hanno dato luogo alla violazione del diritto alla vita. La sussistenza dell’immunità poteva quanto meno essere messa in discussione, in questo caso, tramite un’indagine più accurata, perché esiste un diritto alla vita che è stato violato e lo Stato deve garantire un’indagine accurata per appurare i fatti.

Qui siamo davanti a una sentenza non più appellabile: esiste qualche altra via per tutelare il diritto a indagini accurate?
L’unica possibilità sarebbe un’interazione per via diplomatica fra il nostro governo e l’Onu, volta ad esempio a istituire una commissione per l’accertamento dei fatti. Il ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’uomo potrebbe invece essere tentato laddove si dimostrasse che le vie di ricorso interne sono state infruttuosamente percorse.

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