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Il delitto Mattarella e il ‘Magma’ in cui era avvolto: una storia di sconvolgente attualità

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“Molto spesso l’esistenza della mafia è un alibi, una copertura, per negligenze inammissibili per qualunque Stato civile. Certe verità sono sgradite e coloro che si trovano in una situazione di gerarchia, hanno timore a riferire troppo crudamente i fatti”. Queste non sono le parole di un accanito opinionista anti-governativo che commenta gli interventi alla Camera dei ministri Nordio e Piantedosi sulla vicenda Almasri. No: queste sono le parole con le quali Giovanni Falcone rispondeva a Marcelle Padovani nel 1988 a proposito dell’esercizio del potere nel nostro Paese.

Sono parole sapientemente ritrovate ed inserite proprio alla fine del docufilm Magma, il delitto perfetto (regia di Giorgia Furlan, prodotto da 42° Parallelo) dedicato all’assassinio di Piersanti Mattarella, che martedì sera ha tenuto avvinta una folta platea al Centrale di Torino per una anteprima indimenticabile.

Queste parole lungi dal negare l’esistenza, l’autonomia e la pericolosità della mafia, ancor più lungi dal negare il ruolo certo di Cosa Nostra nel delitto Mattarella, aprono però ad una considerazione più ampia, più inquietante e purtroppo di una attualità sconvolgente. Le organizzazioni criminali come le mafie, così come le organizzazioni criminali terroristiche (nel docufilm si tratteggiano le traiettorie ora parallele ora convergenti dei terrorismi neri e rossi) hanno una comune caratteristica distintiva rispetto a quelle “comuni”: la vocazione politica.

Una vocazione che si traduce nella capacità di perseguire i propri scopi delittuosi anche attraverso la creazione di relazioni con altri centri di potere, disposti a sedersi allo stesso tavolo per trattare reciproche utilità. La politica è fatta di relazioni funzionali, stabilire quali siano gli scopi a cui tendano queste relazioni e stabilire quali siano i modi attraverso cui questi vengano perseguiti fa la differenza tra una politica essenzialmente criminale ed una politica ispirata ai valori della nostra Costituzione.

Il lavoro di inchiesta portato avanti da Giovanni Falcone a partire dal 1985 sull’assassinio di Piersanti Mattarella si muoveva convintamente dall’ipotesi che l’eliminazione del presidente della Regione siciliana, come quella di Aldo Moro, di Vittorio Bachelet, di Pio La Torre, passando per la strage di Bologna, si comprendesse soltanto tenendo presente la situazione geopolitica di quegli anni e quindi il fitto intreccio di relazioni tra attori spregiudicati, in parte mossi da finalità specifiche, in parte disponibili a convergere su finalità trasversali, tutti pronti ad adoperare la violenza.

La consapevolezza di quanto male abbia fatto alla nostra Repubblica questo modo scellerato di gestire il potere dovrebbe essere una leva sufficiente a motivare oggi una strenua opposizione ad ogni riproposizione attualizzata di quelle modalità che, con la scusa della stabilità e della sicurezza, fanno macelleria di vite, libertà e giustizia. Modalità che sarebbe illusorio ritenere consegnate agli archivi storici della Terza guerra mondiale (alias, Guerra Fredda).

Ci sono infatti alcune vicende attualissime che stanno lì a metterci in guardia: certamente la “esfiltrazione” di Almasri, ma anche le tragiche morti di Giulio Regeni, Andy Rocchelli, Mario Paciolla, Luca Attanasio, storie dove vita e diritti cedono il passo ai più beceri rapporti di forza, tradotti nella altisonante definizione di Ragion di Stato. “Ragion di Stato”, “Segreto di Stato” parole che servono spesso ad ammantare la supremazia della forza sul diritto, vanno solitamente a braccetto con la pretesa impunità di chi governa. A sua volta l’impunità di chi ha la forza della maggioranza si accompagna con la delegittimazione sistematica od il controllo dei due fondamentali “sindacati” democratici, la magistratura ed il giornalismo, e con la neutralizzazione della capacità emancipante della scuola.

Se questi spunti cominciano a sembrarvi familiari, allora continuate l’esercizio e domandatevi di quali crimini abbia bisogno oggi l’alleanza internazionale nera e liberista per poter finalmente scatenare l’inferno della guerra totale in nome della sicurezza nazionale, a maggior gloria del profitto aziendale, e forse comincerete a vedere sotto una luce diversa certi misfatti, fatti di droga e cieca violenza.

Giovanni Falcone aveva un’anima così bella da non saperne di Ragion di Stato? Certo che no, ma credo che Falcone aborrisse ciò che, come scrive Dallari in un bel libro, Hannah Arendt condannava nel nazista Adolf Eichmann: l’eutanasia del senso critico e l’ignavia dell’immaginazione. E’ troppo comodo, insomma, continuare a pensare che non esista alternativa all’ordine della forza. Ed è anche stupido, come lo può essere un giovane che, nel dettare le regole al Mondo, non si ricordi di esser stato bambino e non si accorga di essere ogni giorno un po’ più vecchio.

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