Trump restaura il principio della “massima pressione” ma cerca un dialogo sul nucleare con l’Iran. “Influiranno anche i tagli a USAid”
Prima un ordine esecutivo con cui restaura il principio di “massima pressione” utilizzato durante il primo mandato. Poche ore dopo, un post sui social in cui spiega di volere che l’Iran sia un “paese grande e di successo” e di desiderare un “accordo verificato sul nucleare“. Donald Trump affronta il delicatissimo dossier dei rapporti con Teheran applicando il consueto schema, ovvero sedere al tavolo delle trattative da una posizione di forza per raggiungere l’obiettivo: instaurare un dialogo sul tema dell’atomica.
Martedì il tycoon ha firmato un “Memorandum presidenziale sulla sicurezza nazionale” che ripristina la “massima pressione sul governo della Repubblica islamica, negando all’Iran ogni via per dotarsi di un’arma nucleare“. Teheran nega di volersene dotare ma Israele – principale alleato di Washington nell’area mediorientale – sostiene il contrario, il che secondo Tel Aviv costituirebbe minaccia esistenziale per lo Stato ebraico. Per questo allo scopo di “contrastare lo sviluppo aggressivo di missili da parte dell’Iran, così come di altre capacità in materia di armi asimmetriche e convenzionali” l’ordine stabilisce tra le altre cose che “il Segretario di Stato modificherà o revocherà anche le attuali esenzioni dalle sanzioni e collaborerà con il Segretario del Tesoro per attuare una campagna volta ad azzerare le esportazioni di petrolio iraniano“. Una direttiva “molto dura“, ha spiegato il tycoon firmandola nello Studio Ovale, spiegando di aver lasciato l’ordine di “annientare” il regime di Teheran nel caso dovesse assassinarlo.
Toni che contrastano con il post pubblicato poche ore dopo su Truth: “Voglio che l’Iran sia un paese grande e di successo – premette il tycoon – ma non deve avere l’arma nucleare. Le notizie secondo cui gli Stati Uniti, lavorando in collaborazione con Israele, faranno a pezzi l’Iran”, SONO MOLTO ESAGERATE (scritto in maiuscolo, ndr). Preferirei di gran lunga un accordo di pace nucleare verificato, che consentirà all’Iran di crescere e prosperare pacificamente. Dovremmo iniziare a lavorarci immediatamente e organizzare una grande celebrazione in Medio Oriente quando sarà firmato e completato. Dio benedica il Medio Oriente!”, conclude il capo della Casa Bianca.
I rapporti tra Trump e Teheran sono sempre stati tesi. L’approccio della massima pressione adottato da Trump durante il primo mandato ha colpito duramente l’economia iraniana, provocando un drastico calo delle esportazioni di petrolio e causando una forte inflazione che grava da anni sull’economia reale della Repubblica islamica. In risposta, Teheran ha ridotto negli anni la sua adesione all’accordo nucleare firmato nel 2015 da Teheran con il cosiddetto “5+1” da cui Trump era fatto uscire gli Stati Uniti e ha accelerato lo sviluppo di combustibile adatto alla produzione di armi atomiche. Durante i primi 4 anni alla Casa Bianca, inoltre, Trump aveva ordinato l’assassinio del comandante dei Guardiani della rivoluzione Qassem Soleimani, ucciso in un attacco con i droni nel 2020, privando il regime del suo più abile e carismatico tra i leader militari dell’intera regione.
Ora, però, uno dei primi provvedimenti adottati dal tycoon sembra andare a vantaggio del regime. I tagli ai fondi per la cooperazione estera e la riforma di USAid, l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, sono stati accolti con favore dai media statali iraniani. Alcuni giornali come il conservatore Hamshhari hanno scritto che gli oppositori della teocrazia “si sono trovati di fronte alla sorpresa del taglio dei finanziamenti da parte del loro datore di lavoro”. Il riformista Hammihan l’ha paragonata a una “doccia fredda“, idea espressa anche dal ministero degli Esteri: “Quelle risorse non sono donazioni di beneficenza”, ha detto Esmail Bagahei, portavoce del dicastero, ma “sono salari pagati in cambio di servizi”. I fondi finora sono stati erogati attraverso il programma “Near East Regional Democracy“: nel 2024, secondo il Congressional Research Service, Joe Biden aveva chiesto di usare 65 degli oltre 600 milioni a disposizione, soldi usati in passato per formare giornalisti e attivisti su come denunciare le violazioni dei diritti umani o finanziare l’accesso a Internet durante le chiusure imposte dal regime.
Che, intanto, continua a lasciare aperta la porta al dialogo. Il compito affidato al presidente “riformista” Masoud Pezeshkian resta quello: tentare di riaprire un dialogo sul nucleare in cambio di un allentamento delle sanzioni che soffocano l’economia. A settembre anche la Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei, che ha l’ultima parola su tutte le questioni di Stato, aveva aperto la porta ai colloqui con gli Stati Uniti , affermando che “non c’è nulla di male” nell’impegnarsi con il “nemico”. Più di recente, ha moderato la sua posizione, avvertendo che sinistri complotti potrebbero ancora essere “nascosti dietro sorrisi diplomatici”. Ma nelle scorse ore l’agenzia di stampa statale IRNA ha riferito che “tagliare i fondi destinati all’opposizione estera” potrebbe “influenzare la sfera delle relazioni” tra Teheran e Washington.
Nelle ultime ore, poi, anche Trump ha lanciato segnali in questo senso: “Lo firmerò, ma spero che non dovremo usarlo molto“, ha detto martedì nello Studio Ovale siglando l’ordine esecutivo che ripristina la massima pressione su Teheran. “Vedremo se possiamo o meno organizzare o elaborare un accordo con l’Iran”.
L'articolo Trump restaura il principio della “massima pressione” ma cerca un dialogo sul nucleare con l’Iran. “Influiranno anche i tagli a USAid” proviene da Il Fatto Quotidiano.