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Abbandonati, preda delle bande criminali e vittime di violenza: le voci dei migranti colpiti dalla chiusura di Usaid voluta da Trump

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Il pugno di ferro di Donald Trump colpisce oltre la frontiera sud, bloccando migliaia di migranti tra il Messico e la Colombia. Il tycoon è tornato alla Casa Bianca da nemmeno un mese, ma per molti migranti sembra passata una vita. Lo sanno bene i coniugi venezuelani Lucymar Polanco e Jesús Caruci, di 32 e 40 anni, bloccati nella città messicana di Ciudad Juarez distanti circa 14 chilometri dal confine di El Paso. E con loro ci sono altri otto familiari, tra cui qualche minore di cinque anni. Dovevano recarsi presso il Custom and protection borders (Cpb), l’agenzia americana che si occupa del controllo dei confini, il 21 gennaio, ma all’improvviso il servizio è stato rimosso. È bastata una firma, un ordine esecutivo, per lasciare loro e altri 270mila migranti nella totale confusione. “Ora non possiamo nemmeno uscire dal rifugio in cui ci troviamo, perché qui i migranti sono bersaglio di violenza“, racconta Polanco che aggiunge: “Stiamo sopravvivendo con le rimesse inviate dai nostri familiari che invece speravamo di aiutare una volta sistemati in Usa“.

Ma lo spauracchio Trump non ferma le carovane in arrivo a Oaxaca e altre zone del Messico, con centinaia di persone che viaggiano in gruppo per difendersi dalle insidie presenti nelle terre di nessuno. “Chi viaggia da solo viene preso d’assalto dalle organizzazioni criminali che ci derubano di quel poco che possediamo e praticano ogni forma di violenza su donne e bambini“,
racconta invece Eva Bolanos, proveniente dall’Ecuador. E ammette che “l’entrata negli Usa è sempre più complicata, ma rifare lo stesso cammino significa rischiare la vita”.

Neppure il Messico può aiutarli: Acapulco ha varato il programma Mexico te abraza che però si limita all’accoglienza dei connazionali rimpatriati con nove centri e oltre mille operatori in campo.
Gli altri dovranno tornare più a sud, dove si profila una crisi di portata maggiore. Soprattutto in Colombia che negli ultimi anni ha fatto da diga per i flussi migratori provenienti soprattutto dal Venezuela. Ora invece la recente sospensione del programma Usaid ha portato alla chiusura imminente di Movilidad segura di cui, secondo fonti governative, beneficiavano oltre 2,1 milioni di profughi giunti dal Venezuela, mentre altri 800mila vivono irregolarmente nel Paese. Quantità che equivale al 3,5% della popolazione residente in Colombia.

“Siamo nell’incertezza”, ha commentato Carlos Teran, giornalista e volontario di Unhcr nel dipartimento di Putumayo, situato nel sudovest del Paese e al confine con Ecuador e Perù, che si dice preoccupato per l’improvvisa “chiusura di 104 punti di attenzione che garantivano servizi essenziali e beni primari alla popolazione migrante” facilitando anche il disbrigo di pratiche burocratiche per bambini e persone fragili. Teran osserva che tali servizi “non possono sopravvivere senza il finanziamento dell’Usaid che ammontava a quasi 10 miliardi di dollari complessivi per rispondere all’emergenza migratoria”. I punti di attenzione erano distribuiti in zone nevralgiche come nel Pàramo de Berlin, offrendo cibo e riparo ai migranti non abituati all’alta quota, la località di confine di Maicao, dove ha sede il campo profughi de La pista che nel 2021 è arrivato ad accogliere fino a 50mila migranti in condizioni di marginalità, l’area di Necoclì, che è il punto di uscita verso l’imbuto de El Darien. “I rimpatri si faranno sentire con più forza ad aprile, quando scadrà lo status di protezione temporanea per almeno 300mila persone che vivono in territorio statunitense”.

Nel frattempo, le conseguenze operative della sospensione dell’Usaid: “Le Ong stanno chiudendo già le attività, perché molte operavano a progetto”, sostiene Abraham Puche della Fondazione Salto Angel. “La situazione – ha proseguito – non colpisce soltanto i beneficiari, che rimangono senza alternative né tutele, ma anche centinaia di operatori che hanno perso il lavoro”. Stephen McFarland, già ambasciatore Usa in Guatemala ed ex-direttore del programma Usaid Colombia, ha definito “disastrosa” la scelta dell’amministrazione Trump, “sia per gli Stati Uniti sia per milioni di persone che nel mondo dipendono dal sostegno del programma”. Si teme che in assenza di tutele i migranti siano maggiormente esposti all’azione di gruppi irregolari, come le Aguilas Negras che a Putumayo si contendono le coltivazioni di coca con l’Ejercito de liberación nacional (Eln) e il Fronte Carolina Ramírez. “Spesso i gruppi armati irregolari reclutano i migranti più poveri offrendo facili guadagni”, aggiunge un residente di Putumayo che ha preferito rimanere anonimo: “Non di rado vengono uccise persone migranti durante i combattimenti tra fazioni”.

Le preoccupazioni raggiungono anche Medellín, dove la tratta di persone e lo sfruttamento di donne e minori sono all’ordine del giorno. “Molti rimangono a dormire nel centro di Medellín nei pressi del fiume”, racconta Roxana, operatrice umanitaria impegnata in città. Lei si dice preoccupata per le sparizioni forzate nel Paese: “Una piaga che continua a lacerare i più fragili e vulnerabili”.

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