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Trump: “Se Hamas non libera gli ostaggi sarà l’inferno”. La replica: “Le minacce non servono, gli accordi vanno rispettati”

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Un clima teso, incandescente, provocato dalle dichiarazioni di Hamas, che ha annunciato il rinvio del nuovo rilascio di ostaggi previsto per sabato accusando Israele di non aver rispettato pienamente gli accordi sottoscritti a metà gennaio. E se da una parte Israele ha denunciato una “violazione della tregua” da parte della fazione palestinese, l’Idf ha ricevuto ordini di “prepararsi da ogni scenario“. Una crisi resa ancora più instabile dalle nuove dichiarazioni di Donald Trump, che ha minacciato “l’inferno” per Hamas se non libererà gli ostaggi entro mezzogiorno di sabato e a chiesto a Israele di ritirarsi dall’accordo. Oltre a questo, ha aggiunto che non è previsto il ritorno degli sfollati nell’enclave dopo la presa di possesso da parte degli Stati Uniti. E come se non bastasse, ha evocato l’ipotesi di tagliare gli aiuti a Egitto e Giordania se si rifiutassero di accogliere i gazawi. A rispondergli è intervenuto il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri: “Gli accordi vanno rispettati” e “le minacce non servono”. “Trump – ha continuato – deve ricordare che c’è un accordo che deve essere rispettato da entrambe le parti e questo è l’unico modo per restituire i prigionieri. Il linguaggio delle minacce è inutile e complica solo le cose”, ha dichiarato l’esponente di Hamas.

Intanto decine di parenti degli ostaggi israeliani hanno bloccato l’autostrada che collega Tel Aviv a Gerusalemme, chiedendo al governo di riportare a casa tutti gli ostaggi e di “non abbandonare” i loro cari. “Abbandonare gli ostaggi è un crimine di guerra”, si legge sullo striscione che hanno esposto. E sul destino di alcuni di loro arrivano notizie: la famiglia dei gemelli Gali e Ziv Berman, 27 anni, tenuti in ostaggio a Gaza da Hamas, afferma di aver ricevuto segnali di vita dei due uomini. “Tiriamo un respiro profondo, ma sappiamo in quali mani sono e quanto siano in pericolo le loro vite”, ha affermato la famiglia in un messaggio ai residenti del Kibbutz Kfar Aza, da dove sono stati presi in ostaggio il 7 ottobre 2023, secondo quanto riporta il Times of Israel. Al contrario il Kibbutz di Kissufim ha comunicato che l’86enne Shlomo Mansour, preso in ostaggio da Hamas nell’attacco del 7 ottobre 2023 è stato ucciso. “Abbiamo ricevuto stamani la notizia dell’uccisione durante la prigionia nelle mani di Hamas del nostro amico, Shlomo Mansour, 86 anni, che era stato rapito dalla sua abitazione”, affermano in un comunicato in cui rivolgono un appello al governo israeliano di Benjamin Netanyahu e ai leader mondiali affinché “intervengano con decisione per il ritorno di tutti gli ostaggi, vivi e morti”.

La tregua a rischio – Dopo i primi rilasci di ostaggi da parte di Hamas, ora il cessate il fuoco con Israele, che ha retto per tre settimane, rischia di saltare. Sabato prossimo, 15 febbraio, sarebbe dovuto scattare il sesto scambio di prigionieri tra Hamas e Israele, nell’ambito della prima fase della tregua, ma l’ala militare della fazione palestinese ha comunicato che tutto “è rinviato fino a nuovo avviso, in attesa che gli occupanti adempiano ai loro obblighi“. La fazione islamica in seguito ha affermato di volere lasciare “la porta aperta” per sabato, dando però cinque giorni di tempo a Israele per adeguarsi all’accordo: l’accusa tra le altre cose, è di aver ritardato il rientro degli sfollati nel nord, delle forniture mediche e delle attrezzature per rimuovere le macerie.

Il governo israeliano ha invece accusato Hamas di voler far saltare tutto, e dopo l’annuncio dello stop alla liberazione degli ostaggi sono scattate le consultazioni al più alto livello per valutare i prossimi passi, mentre l’esercito è tornato a schierarsi in “stato di massima allerta”, con la possibilità quindi di tornare a combattere, e sono stati inviati rinforzi nell’area. Allo stesso tempo, anche all’interno dello Stato ebraico non mancano le voci di chi crede che Netanyahu abbia tutto l’interesse a sabotare la tregua. Per non mostrarsi debole di fronte all’ultradestra, che non a caso ha colto l’occasione dello strappo di Hamas per rilanciare il proprio mantra: “Tornare alla guerra, assaltare Gaza e distruggere Hamas”, le parole incendiare utilizzare dall’ex ministro della sicurezza Itamar Ben Gvir, dimessosi proprio in seguito all’accordo di cessate il fuoco.

Al fianco di Israele è sceso ancora una volta Trump, che ha avvertito Hamas: se gli ostaggi non saranno rilasciati entro le 12 di sabato, si scatenerà “un inferno”. E l’accordo di cessate il fuoco dovrebbe essere annullato. Il presidente americano ha anche rilanciato il suo piano per Gaza. Affermando di volere addirittura diventare “proprietario” della Striscia, per pianificare uno “sviluppo immobiliare per il futuro” di questo “bellissimo pezzo di terra”. Quanto ai suoi attuali abitanti, l’inquilino della Casa Bianca ha immaginato di realizzare fino a sei nuove e “belle comunità, lontane da dove si trovano adesso” i palestinesi, in zone “dove non c’è tutto questo pericolo”. Delle residenze talmente belle che, è l’idea di Trump, i gazawi non avrebbero nessun motivo di lasciare. “Avrebbero alloggi migliori di adesso, quindi no, non avrebbero il diritto di tornare” a Gaza, è stata la sua risposta alla domanda di un giornalista di Fox. Il piano Trump è stato già bocciato dal mondo arabo, a partire da Egitto e Giordania, che sarebbero i Paesi candidati ad accogliere i circa due milioni di abitanti della Striscia. Posizione ribadita dal ministro degli Esteri del Cairo Badr Abdelatty a Washington, dopo un incontro con l’omologo Marco Rubio. Ma Trump prima si è detto fiducioso di poter convincere i due Paesi, poi ha utilizzato un argomento classico del suo repertorio di avvertimenti non troppo velati: la sua amministrazione, ha detto parlando con la stampa, “teoricamente” potrebbe sospendere gli aiuti ad Amman ed al Cairo se si rifiutassero di accogliere i palestinesi.

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