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Università, il governo abolisce gli assegni di ricerca. I precari: “Progresso, ma ora servono fondi e garanzie”

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Gli assegni di ricerca saranno aboliti. Dopo oltre due anni di trattative che hanno coinvolto tre ministeri (Università, Pubblica amministrazione, Economia e Finanze) si sblocca l’inquadramento dei ricercatori non strutturati, che avranno ora contratti di lavoro e non assegni di ricerca. Il via libera è arrivato il 7 febbraio, quando il Consiglio dei ministri ha approvato la sequenza contrattuale prevista dalla legge 79/2022, nota anche come Pnrr-bis o riforma Verducci sull’Università, e rimasta congelata nonostante a ottobre 2024 si fosse trovato un accordo con l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pubbliche amministrazioni (Aran).

Le richieste del mondo accademico – Proprio pochi giorni fa l’Associazione dei dottorandi e dottori di ricerca (Adi) aveva presentato un esposto alla Commissione europea contro la mancata conversione degli assegni, inadempienza che ostacolava il processo di stabilizzazione dei ricercatori richiesto dall’Unione europea e dal Pnrr. Ora una base delle contestazioni viene meno, anche se per l’Adi la modifica rimane da comprendere. “È un passo avanti – spiega a ilfattoquotidiano.it il segretario nazionale dell’Adi Davide Clementi – ma non è un automatismo. I nuovi contratti sostituiranno gli assegni come istituto giuridico ma manca la valutazione della Corte dei Conti e bisognerà capire come i regolamenti di ateneo ne disciplineranno il conferimento”. Finora gli assegni duravano un anno, con l’entrata in vigore del provvedimento bollinato dal Mef diventeranno biennali, avranno un importo minimo e più tutele, ma l’applicazione spetterà agli atenei. Per questo, per quanto positiva, la notizia è stata accolta con cautela dai precari dell’Università, felici della conversione ma in piena lotta per un percorso più definito.

I timori dei precariCirca 400 precari da tutta Italia si sono riuniti in un’assemblea nazionale l’8 e il 9 febbraio all’Università di Bologna (video), con tavoli di lavoro su diversi temi. Le deliberazioni dovrebbero essere rese note nei prossimi giorni, ma la posizione emersa sulla modifica degli assegni di ricerca è che è insufficiente. “È un progresso, ma non c’è un’indicazione a stipulare un solo tipo di contratto – spiega a ilfattoquotidiano.it Daniela Leonardi, assegnista di ricerca presente a Bologna -. Vogliamo un unico inquadramento dopo il dottorato, con tutte le garanzie, non una varietà di contratti diversificati e meno costosi per il datore di lavoro, perché se il governo non finanzia gli atenei è facile immaginarsi quali contratti saranno attivati”. Il timore della comunità accademica è che il contratto, per quanto positivo, si trasformi in uno strumento di disuguaglianza, perché gli atenei dovranno spendere di più per assumere le stesse figure e cercheranno di evitarlo. “Saranno spinti a fare meno contratti di ricerca – dice a ilfattoquotidiano.it Eleonora Priori, ricercatrice e membro dell’Assemblea precari -, ma chiunque abbia a cuore il futuro della ricerca e dell’università sa che è necessario aprire più posizioni e non meno”.

Il richiamo viene anche dalla Rete 29 aprile, nata nel 2010 in contrasto con la riforma Gelmini (legge 240/2010), che ha abolito la figura del ricercatore a tempo indeterminato e, secondo molti, precarizzato gli accademici. “Quello che la politica non capisce – dice a ilfattoquotidiano.it Piero Graglia, professore ordinario in Storia delle relazioni internazionali all’Università di Milano e, da ricercatore a tempo indeterminato, tra i fondatori della Rete 29 aprile – è che fare ricerca vuol dire avere tempi lunghi, programmare lavoro, impegni e vita. Come docenti siamo in difficoltà nel proporre un percorso serio a chi vuol fare ricerca nel nostro Paese”. Comunicando l’abolizione degli assegni di ricerca la ministra Bernini ha lanciato un appello a tutto il mondo accademico a unire le forze. “È il momento della responsabilità, la ricerca è futuro”, ha detto. Lo sblocco del contratto che sostituisce l’assegno è un primo passo, resta da capire come evolverà il suo disegno di legge.

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