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“Nelle periferie mancano occasioni di incontro tra italiani e chi ha origini straniere”: a Milano i giovani Pd radunano le associazioni

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Mentre a Milano viene annunciato il “Remigration Summit” e il dibattito pubblico si concentra su chi (secondo la politica) può restare e chi dovrebbe andarsene dall’Italia, nella periferia Sud della città c’è chi prova ad aprire uno spazio di confronto dal segno opposto. Nel pomeriggio del 9 febbraio, nel quartiere di Gratosoglio, il tavolo migrazione dei Giovani democratici di Milano ha organizzato un incontro su cittadinanza, identità e diritti delle nuove generazioni italiane intitolato “Di nome o di fatto essere stranierə in Italia”. L’evento ha visto la partecipazione di diverse associazioni attive sul territorio – CONNGI, Cambio Passo, Lo Scrigno, Sunugal e Oltre Confini – e ha acceso i riflettori sulle difficoltà vissute da chi ha un background migratorio in Italia. “Nelle periferie mancano occasioni di incontro tra cittadini italiani e stranieri”, ha spiegato Kadija, mediatrice culturale della cooperativa Lo Scrigno. “Questa distanza alimenta incomprensioni e tensioni. Il nostro lavoro mira a creare spazi di dialogo reali, specialmente nelle periferie dove mancano completamente”.

Una distanza che, come sottolineano le associazioni e gli stessi giovani del Pd, è il risultato di progetti temporanei, che non trovano mai un seguito, e della mancanza di fondi e di una programmazione strutturata. Politiche che dovrebbero essere portate avanti a più livelli, ma che troppo spesso non riescono ad avere impatti duraturi. Come evidenziato da più interventi, eventi come questo sono fondamentali non solo per decostruire pregiudizi, ma anche per sollecitare una riflessione sulle poche politiche messe in campo riguardo l’integrazione e i diritti delle nuove generazioni italiane. Una riflessione che, per i giovani democratici, deve partire proprio da Palazzo Marino, amministrato dal loro stesso partito.

Uno dei temi centrali è stato il superamento del concetto di integrazione in favore di una reale interazione. “Il termine seconde generazioni non ci rappresenta, il termine corretto è quello di nuove generazioni”, hanno sottolineato i rappresentanti di CONNGI (Coordinamento Nazionale Nuove Generazioni Italiane). “Siamo nati e cresciuti in Italia, ci sentiamo italiani, eppure dobbiamo continuamente dimostrare la nostra appartenenza”. Da qui, la richiesta di una riforma della cittadinanza che riconosca questa realtà. “L’iniziativa nasce da un’esigenza comune a tutti noi”, hanno spiegato gli organizzatori. “Ci siamo resi conto di non avere piena consapevolezza dei privilegi di cui godiamo, essendo nati con la cittadinanza in tasca. Abbiamo voluto creare uno spazio di confronto per comprendere le difficoltà che le persone di nuova generazione, delle diaspore o con background migratorio affrontano ogni giorno, dalla scuola al mondo del lavoro. Per questo, ci siamo affidati ad associazioni che lavorano su queste tematiche e che sono composte, in gran parte, proprio da persone con queste esperienze”.

Tre laboratori hanno accompagnato il dibattito. Il primo, organizzato da Lo Scrigno, Oltre Confini e Sunugal, ha evidenziato, attraverso un gioco, le barriere comunicative e i pregiudizi che emergono nell’incontro tra culture diverse. Il secondo, curato da Cambio Passo, si è concentrato sulla partecipazione politica delle diaspore e sulle difficoltà che ne ostacolano l’accesso: “Abbiamo riflettuto su quali siano le condizioni necessarie per fare politica e su come la loro mancanza – dal tempo alle risorse economiche, fino alla continua necessità di rinnovare i documenti o alla mancanza del diritto alla residenza – impedisca a molte persone di nuova generazione di partecipare attivamente alla vita pubblica”. Si è discusso anche della convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, evidenziando come lo Stato italiano, pur definendosi democratico, ignori spesso questi principi quando si tratta di certe categorie di cittadini. Il terzo laboratorio, con CONNGI, ha affrontato il tema della cittadinanza e delle discriminazioni ancora diffuse. Un esperimento sociale ha mostrato come l’italianità venga spesso definita dai tratti somatici: ai partecipanti sono stati mostrati video di persone che parlavano perfettamente in dialetto, ma il loro aspetto non “italiano” generava sorpresa e interrogativi. Da qui, la riflessione su cosa significhi davvero essere italiani.

L’incontro si è chiuso con un confronto aperto e una richiesta chiara: il razzismo istituzionale è una realtà in Italia e una riforma della cittadinanza è solo il primo passo per riconoscere diritti quotidianamente negati. “Non basta”, hanno sottolineato i Giovani democratici. “Dobbiamo superare la narrazione che vede lo ‘straniero’ come una minaccia e garantire che i diritti, che sulla carta sono universali, lo siano anche nella realtà. L’obiettivo è creare le condizioni per una vera uguaglianza e fare in modo che queste istanze siano rappresentate direttamente nei luoghi della politica, senza mediazioni esterne”.

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