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Trump chiude Usaid: così riduce l’accesso ai diritti umani in America Latina

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La notte di venerdì 7 febbraio è diventato esecutivo un decreto “bomba” firmato da Donald Trump: un congedo amministrativo obbligatorio per tutti i funzionari dell’Agenzia degli Stati Uniti d’America per lo Sviluppo Internazionale, Usaid (la sigla sta per United States Agency for International Development). Veniva così paralizzata l’azione di una Agenzia che provvedeva il 47 percento della spesa per l’assistenza umanitaria a livello globale.

Il comunicato ricevuto dai lavoratori dell’Agenzia e pubblicato sul sito web della stessa (già inabilitato) recitava: “Tutto il personale direttamente assunto dall’Usaid sarà messo in congedo amministrativo a livello globale, ad eccezione del personale designato responsabile delle funzioni critiche della missione, della leadership centrale e dei programmi appositamente designati”. Musk, l’incaricato della nuova amministrazione del governo Usa sulla “spending review”, ha definito Usaid come una organizzazione criminale, chiamandola letteralmente “uno nido di vipere di marxisti radicali di sinistra che odiano gli Stati Uniti”.

L’idea è partita quindi da Musk, l’ordine esecutivo è stato dato da Trump e l’azione è stata eseguita del Dipartimento di Stato, a guida Marco Rubio, che ha inferto ferite mortali a Usaid. Si discute già sulla legalità di queste azioni e sull’eventuale necessità del Congresso di ratificarle, ma difficilmente ci saranno passi indietro. Nel frattempo un giudice federale ha bloccato in parte il decreto, ma Trump è stato chiaro: dagli attuali 10mila dipendenti vuole passare a 290, quelli da lui ritenuti essenziali.

Va in scena dunque l’ultimo atto di una funzione iniziata il 20 gennaio, con l’improvviso blocco dei finanziamenti deciso dalla Casa Bianca. Il 27 gennaio si è verificata una paralisi finanziaria a scala globale sui progetti di Usaid, con sgomento crescente tra il personale dell’Agenzia a livello mondiale, così come una crescente incertezza delle migliaia di partners (Ong locali, associazioni, imprese fornitrici di beni e servizi) che hanno visto bloccati i loro progetti e commesse. Così mentre il sito web usaid.gov e il sistema di pagamento Usaid andavano offline, venivano rimossi i sigilli dell’Usaid dalla sede centrale di Washington; si realizzava in tempi record la sublimazione delle funzioni dell’Agenzia nel Dipartimento di Stato.

Fondata nel 1961, in piena guerra fredda, sotto l’amministrazione del presidente John F. Kennedy, Usaid è (era) un’agenzia federale indipendente, che rappresentava uno strumento di soft power attraverso il quale il governo Usa pianificava assistenza economica e umanitaria in tutto il mondo. Ora gli uffici di Usaid al 1300 Pennsylvania Avenue, NW Washington DC sono chiusi, uffici dai quali per più di sessant’anni sono stati destinati fondi nella lotta contro la povertà, nella promozione dello sviluppo sostenibile e nella promozione della democrazia e della salute in tutto il mondo.

Secondo l’amministrazione Trump, il peccato imperdonabile di Usaid (accusata dal tycoon anche di corruzione a livelli mai visti prima) sarebbe quello di promuovere diritti e rivendicazioni non in linea con le basi fondanti del MAGA (Make America Great Again). Progetti che finanziavano la difesa e promozione dei diritti del collettivo Lgbtqia+, progetti per combattere la violenza contro le donne e in generale a difesa dei gruppi in situazione di particolare vulnerabilità. Il budget dell’Agenzia, che operava in 130 paesi, era di oltre 40 miliardi di dollari, fondi impiegati per appoggiare partner strategici, fare leva sociale e politica in accordo alle direttrici di Washington (Soft Power) e ampliare la presenza e impatto della marca Usa nel mondo.

Di questo budget, circa 2,5 miliardi di dollari venivano spesi in America Latina e tra i principali beneficiari vi era la Colombia, che riceveva in finanziamenti a progetti quasi mezzo miliardo di dollari. Fondi che venivano destinati a destinati a programmi umanitari, cooperazione giudiziaria, sicurezza, istruzione, sanità, pace, uguaglianza, ambiente, cultura e migrazione. Il Messico, in piena tensione commerciale con gli Usa, ha visto di buon occhio la sospensione degli investimenti dell’Agenzia, vissuti come ingerenza e promozione di partiti che si oppongono a Morena (il partito dell’attuale presidenza). Ciononostante sono innumerevoli le Ong messicane che stanno chiudendo per questa decisione, organizzazioni che lavoravano in appoggio al collettivo Lgbtqia+ e che provavano a rendere meno difficile la vita dei migranti.

Altri paesi duramente colpiti sono Brasile e Perù, che con Usaid lavorano su temi cruciali quali la preservazione dell’Amazzonia e la lotta al narcotraffico. Piani di finanziamento e appoggio tecnico, nel quadro dell’agenda 2030 dell’Onu, che ora si vedono mutilati e probabilmente sospesi sine die.

In Guatemala, Honduras e Salvador le cose non vanno meglio. Nel primo caso sono stati congelati 275,3 milioni di dollari da destinare a progetti nell’ambito della giustizia, dell’istruzione, della sanità, dei diritti delle donne e dell’agricoltura. Nel secondo caso sono venuti meno i quasi 100 milioni di dollari investiti da Usaid nell’anno appena trascorso, fondi destinati anche in questo caso alla lotta contro la corruzione, all’istruzione, alla sanità, all’agricoltura e all’assistenza ai migranti. A Bukelelandia (El Salvador), dove le azioni del presidente giustiziere non hanno avuto ritorni efficaci sull’economia, i fondi Usaid erano vitali per i programmi di sviluppo umano mirati all’occupazione, all’istruzione, all’innovazione e in generale alla crescita economica.

In definitiva, sebbene l’America Latina non rappresentasse il focus principale delle operazioni di Usaid, la sua chiusura non è una buona notizia, giacché colpisce in modo diretto questioni essenziali come la difesa dei diritti umani, l’accesso all’educazione e i diritti sessuali e riproduttivi, in una regione dove il lavoro da fare in questo senso è enorme.

L'articolo Trump chiude Usaid: così riduce l’accesso ai diritti umani in America Latina proviene da Il Fatto Quotidiano.




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