Dalla canzone di Cristicchi emerge un’etica della cura: finalmente il messaggio giusto sugli anziani
di Kevin De Sabbata*
Quando mercoledì mattina ho aperto Facebook, l’ho trovato pieno di post, spesso commossi, sull’esibizione di Simone Cristicchi durante la prima serata del Festival di Sanremo. Chiaramente la sua canzone Quando sarai piccola ha colpito la sensibilità di molti già al primo ascolto.
Con l’allungarsi della vita media e il progressivo invecchiamento della società, storie come quella raccontata e vissuta dal cantautore romano sono diventate comuni, e ognuno di noi ci si può identificare. Nel caso di Cristicchi si tratta, sembra, delle conseguenze di un’emorragia cerebrale che ha colpito la madre, ma molti altri vivono una situazione simile a causa, per esempio, dell’Alzheimer o di altre forme di decadimento cognitivo più o meno direttamente legate all’invecchiamento e che colpiscono nonni, genitori, zii e amici a cui dobbiamo appunto ripetere mille volte il nostro nome, perché tanto se le scorderanno.
In relazione a questi casi, la narrazione dominante tende ancora troppo spesso ad essere caratterizzata da toni pietistici e tragici che, se da un lato sono comprensibili quando si tratta di patologie obiettivamente difficili da gestire, dall’altro aggravano lo stigma (sia nei confronti degli anziani e di chi se ne prende cura) e non aiutano ad affrontare veramente i problemi. Malattie come le demenze o altre forme di decadimento cognitivo tendono a venir presentate semplicemente come una triste ‘morte prima della morte’; una inutile sofferenza che bisogna solo sperare termini presto.
Simone Cristicchi propone un approccio più equilibrato e positivo, che sottolinea come, nonostante le innegabili, serie difficoltà, anche nella vecchiaia e nella fragilità ci sono un significato e un messaggio importanti che dobbiamo accogliere con un atteggiamento più positivo. Quell’ ‘ancora un altro giorno insieme a te’, ripetuto con gratitudine nel ritornello, esprime l’immenso valore di ogni momento passato insieme ai nostri cari, a cui dobbiamo aggrapparci finché possiamo, nonostante ‘la rabbia di vederti cambiare’ e ‘la fatica di doverlo accettare’, o anzi proprio per questo. Emerge così una ‘etica della cura’ come esperienza fondamentale per costruire quelle relazioni profonde e autentiche che ci consentono di capire il vero senso delle nostre esistenze. A questo proposito, filosofi come Milton Mayeroff, Nel Noddings o Joan Tronto identificano proprio nel ‘prendersi cura’ e nel ‘ricevere cure’ le dinamiche privilegiate attraverso cui possiamo coltivare le nostre qualità morali e realizzare a pieno la nostra dimensione umana. Anche Papa Francesco ha recentemente sottolineato come gli anziani siano fondamentali perché ci insegnano l’importanza del dono di ‘abbandonarci alle cure degli altri’.
Purtroppo, soprattutto nella nostra società occidentale, individualista e competitiva, in cui dominano sempre più modelli di comportamento orientati all’apparire belli, ricchi ed invincibili, realtà come quelle dell’invecchiamento e del decadimento cognitivo sono difficili da accettare e tendono a venire nascoste e ignorate. Studi antropologici e testimonianze riguardanti la cura degli anziani in alcune società extra-occidentali mostrano come queste ultime, caratterizzate da un più forte senso di comunità e legate a modelli tradizionali che riconoscono negli anziani un punto di riferimento per la collettività, sembrano avere un approccio più sereno a questi problemi. Queste culture generalmente adottano una concezione ciclica del tempo (simile a quella a cui fa riferimento fin dal titolo la canzone di Cristicchi) secondo cui il diventare vecchi e fragili fa semplicemente parte di quel processo naturale per cui nasciamo piccoli nelle braccia dei nostri genitori e moriamo altrettanto piccoli nelle braccia dei nostri figli; una realtà che dobbiamo semplicemente accettare come parte del ciclo della vita.
Il neurologo inglese Tom Kitwood, pioniere della ‘person centred care‘ (‘cura incentrata sulla persona’) nel campo della cura degli anziani, è stato il primo a mettere in luce come la qualità della vita e perfino la gravità dei sintomi di pazienti affetti da forme di decadimento cognitivo dipendano fortemente da come queste persone vengono assistite e da quanto si sentono amate, rispettate e riconosciute come individui a pieno titolo. Quindi è fondamentale che tutti noi impariamo a guardare a questi problemi e a queste persone in maniera il più possibile aperta e serena. Il messaggio lanciato sul palco dell’Ariston da Quando sarai piccola è un segno importante in questa direzione.
L'articolo Dalla canzone di Cristicchi emerge un’etica della cura: finalmente il messaggio giusto sugli anziani proviene da Il Fatto Quotidiano.