Dopo i bilanci falsi, le banche chiuderanno un occhio anche sulle certificazioni Esg farlocche?
Dopo i bilanci falsi, le banche si accontenteranno anche di certificazioni Esg (Environmental, Social, and Governance) farlocche per la concessione (abusiva) del credito? La storia recente ci ha insegnato che il sistema bancario, pur sotto la stretta sorveglianza delle autorità di vigilanza, e soprattutto tenendo presente la garanzia pubblica, ha spesso chiuso un occhio di fronte a bilanci creativi e operazioni opache. Ora, con la crescente enfasi sui criteri Esg, il rischio è che si assista a un nuovo fenomeno di greenwashing finanziario, in cui le banche concedano credito a imprese con certificazioni ambientali e sociali di dubbia validità, pur di rispettare le nuove direttive.
Già due settimane fa, su queste colonne, ho evidenziato come la sostenibilità venga spesso utilizzata più come slogan che come reale trasformazione del sistema economico. In questo contesto, anche le banche, che dovrebbero valutare la sostenibilità delle imprese, si trovano in difficoltà, poiché esse stesse sono vincolate da stringenti regolamentazioni.
Negli ultimi anni, il concetto di sostenibilità aziendale si è imposto con forza nelle agende regolatorie e finanziarie, imponendo criteri Esg sempre più stringenti per imprese e istituti di credito. Tuttavia, la recente spinta verso una regolamentazione più severa in materia Esg solleva questioni cruciali riguardo alla capacità delle banche di adattarsi a questi nuovi standard.
Se da un lato le banche sono chiamate a valutare la sostenibilità delle imprese cui concedono credito, dall’altro si trovano ancora in difficoltà nel rispettare le stringenti norme di patrimonializzazione previste dagli accordi di Basilea. Le regole di Basilea III, e la loro implementazione futura con Basilea IV, richiedono agli istituti di credito di mantenere livelli di capitale sempre più elevati per garantire la stabilità del sistema finanziario. Questo si traduce in vincoli stringenti sulla gestione del rischio e sull’erogazione del credito, ponendo un ulteriore ostacolo alla loro capacità di incorporare criteri Esg nelle decisioni di finanziamento.
Le difficoltà non riguardano solo la patrimonializzazione, ma anche la mancanza di competenze specifiche e strumenti adeguati per valutare le aziende secondo parametri Esg. La misurazione della sostenibilità è un processo complesso, che richiede una mole significativa di dati e un’interpretazione che vada oltre i tradizionali criteri finanziari. Molti istituti di credito non dispongono ancora di strumenti standardizzati per questa valutazione, rischiando di scaricare sulle imprese il peso di fornire reportistica aggiuntiva e di sostenere costi di compliance sempre più elevati. Non sorprende quindi che l’Abi (Associazione Bancaria Italiana) abbia recentemente evidenziato il rischio di un eccesso di oneri derivanti dalla normativa Esg, chiedendo un’applicazione più graduale e meno onerosa.
Si tratta di una vera e propria autodichiarazione di inefficienza, un’ammissione implicita dell’incapacità del sistema bancario di adattarsi efficacemente anche alle nuove sfide della finanza sostenibile. Anche Standard Ethics ha sottolineato come l’asimmetria di adozione delle regole Esg tra diverse aree economiche – con Europa, Stati Uniti e Regno Unito che procedono a velocità differenti – rischi di creare un effetto distorsivo nel mercato.
Le difficoltà delle banche si riflettono inevitabilmente sulle piccole e medie imprese, che rappresentano la spina dorsale del sistema economico europeo. Senza criteri di valutazione chiari e condivisi, molte Pmi potrebbero trovarsi escluse dall’accesso al credito per non essere in grado di soddisfare i requisiti Esg richiesti dalle banche. Questo scenario andrebbe a penalizzare soprattutto le imprese meno strutturate, accentuando il rischio di una frattura tra grandi aziende, che dispongono delle risorse per adeguarsi ai nuovi standard, e Pmi che invece faticano a sostenere costi aggiuntivi. Di fronte a tali difficoltà, molte Pmi potrebbero essere spinte a presentare bilanci Esg falsi, così come già accaduto negli anni per soddisfare le esigenze dettate dagli accordi di Basilea, per continuare ad accedere al credito con rating adeguati. Ovviamente, il tutto avverrebbe con la tacita connivenza delle banche, interessate a mantenere in vita il sistema creditizio e a soddisfare i rigidi parametri di Basilea.
In questo contesto, la Commissione Europea ha già prospettato una riduzione degli obblighi di rendicontazione Esg per le Pmi di almeno il 25% entro il 2025, ma resta da vedere come questa semplificazione potrà concretizzarsi nella pratica. L’auspicio è che il dibattito in corso a Bruxelles porti a un’applicazione più calibrata dei criteri Esg, evitando che il peso della transizione ricada in maniera sproporzionata su banche e Pmi, con effetti negativi su tutto il sistema economico.
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