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In Italia gli ostacoli all’integrazione iniziano a scuola: “Il sistema crea disuguaglianze”. Il report Ismu

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Diminuiscono gli sbarchi e i migranti irregolari, aumentano gli stranieri residenti in Italia ma l’integrazione rimane lenta, ostacolata innanzitutto dall’accesso all’istruzione e dal percorso per ottenere la cittadinanza. È la sintesi del rapporto della fondazione Iniziative e studi sulla multietnicità (Ismu), secondo cui al primo gennaio 2024 gli stranieri presenti nel nostro Paese erano 5 milioni 755mila (-0,3% sul 2022), i residenti 5 milioni e 254mila rispetto ai 5 milioni 141mila del 2022 e gli irregolari 321mila. Gli ingressi avvengono sempre più per ricongiungimenti familiari, richieste di asilo e protezione internazionale, motivi di studio, sempre meno per ragioni di lavoro. Anche per questo, le scuole sono i luoghi a cui guardare per colmare le disuguaglianze. “Ci sono troppi pregiudizi ideologici, ma chi arriva contribuisce all’Italia”, dice il segretario generale di Ismu, Nicola Pasini.

La scuola – Sebbene l’11,2% degli studenti non abbia la cittadinanza italiana, solo alcuni rari talenti sviluppano a pieno le proprie capacità e solo un minore straniero non accompagnato su cinque riesce ad accedere all’istruzione. “Entrano in gioco meccanismi di discriminazione istituzionale automatica – dice a ilfattoquotidiano.it Mariagrazia Santagati, docente di Sociologia all’Università Cattolica di Milano, e responsabile del settore Educazione per Ismu – come se il sistema ritenesse poco probabile che il minore straniero non accompagnato vada a scuola”. Per gli studiosi Ismu, nonostante la scuola italiana sia nel complesso ben strutturata, non prevede percorsi di sostegno efficaci per chi si trova ai margini, e in particolare per chi ha un background migratorio che si somma ad altre fragilità. “Spesso gli stranieri finiscono nei Centri provinciali per l’Istruzione degli adulti (Cpia), mentre servirebbero strumenti di accompagnamento personalizzati specifici per i minori”. Il percorso formativo è migliore per le seconde generazioni, che seguono gli obblighi scolastici italiani ma che spesso rimangono indietro perché non frequentano la scuola dell’infanzia, rallentando così i processi che contribuiscono a creare rapporti di amicizia, a sbloccare le paure e instaurare legami di fiducia anche attraverso lingua e cultura. “I rapporti Invalsi mostrano che molti studenti con background migratorio hanno livelli più alti di inglese, perché è una lingua che hanno imparato prima dell’italiano, mentre l’insegnamento della matematica produce risultati migliori all’estero invece che in Italia”.

La cittadinanza – Il rendimento nella formazione dipende dalle attitudini personali e dall’impegno, dal contesto familiare e sociale ma, secondo Ismu, a ostacolare i talenti ci sono anche le difficoltà nell’accesso alla piena integrazione. “Il sistema crea alcune disuguaglianze – dice Santagati -, non possiamo permetterci di perdere queste nuove generazioni eppure il tema non sembra parte dell’agenda pubblica”. Il muro di gomma con cui gli studenti si trovano a fare i conti è la cittadinanza, che oggi si può chiedere solo al compimento dei 18 anni per chi è nato in Italia. “Pensiamo a un adolescente medio di seconda generazione – dice a ilfattoquotidiano.it Ennio Codini, docente di Diritto pubblico all’Università Cattolica e responsabile del settore Legislazione per Ismu – appena maggiorenne viene catapultato negli uffici dell’immigrazione, e la situazione è ancora più complessa per chi arriva in tenera età”. Secondo Codini, l’aumento delle residenze certificato da Ismu dimostra che chi vuole ottenere la cittadinanza prima o poi ci riesce e rallentarne l’acquisizione ostacola soltanto l’integrazione, con gli aspetti negativi che questo comporta. “Il grave errore è associare la cittadinanza ai flussi migratori, tema che suscita forti passioni – dice Codini -. La cittadinanza non è di per sé un fattore attrattivo ed è sbagliato collegarla a un’idea meritocratica, come se si dovesse alzare l’asticella su qualcosa, chi vuole la cittadinanza la ottiene, ma la strada disegnata oggi è la migliore possibile?”.

I dati e il lavoro – Secondo il report, tra il 2011 e il 2023 sono state concesse circa un milione e 700mila nuove cittadinanze. Nel 2023 i nuovi cittadini italiani sono stati 214mila, per il 92% extra-Ue. Un quarto delle acquisizioni è stato registrato in Lombardia e i Paesi di provenienza sono per lo più Albania e Marocco, ma aumenta anche la popolazione bengalese. Se la cittadinanza non incide sui flussi, con sbarchi scesi del 58% nel 2024 rispetto al 2023, il lavoro non è il motivo principale per cui si cerca l’Italia. Anzi, quando si arriva ci si adatta alle possibilità limitate del welfare nazionale, per cui da oltre un decennio i migranti hanno smesso di rafforzare il saldo demografico. “Istruzione e scuola sono gli strumenti su cui non abbassare la guardia – dice Santagati -. Non tutto è negativo, ma non bisogna distogliere l’attenzione”.

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