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“Sono il ‘Grande figlio di puttana’, mi guardo allo specchio e m’incazzo tantissimo. Vasco non mi ha mai voluto, Lucio Dalla? Un bugiardo allegro”: parla Ricky Portera

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Con lui “figlio di puttana” è un complimento, la carta d’identità. La consacrazione eterna. Il ritratto costruito, cesellato, immortalato da Lucio Dalla nel 1982, poi cantato dagli Stadio. “Mica capita a tutti un onore del genere”. Ricky Portera è la sintesi, la perfetta parabola del rocker secondo i parametri del bello e dannato; bello e musicista; bello e consapevole, bello e pericoloso. Del “bello” stare sul palco per “guardare una donna e sedurla”, parole sue.
Chi è lei?
Un eterno Peter Pan che ancora vaga e non sa cosa combinare da grande. Quest’anno ne compio 71.
Li sente?
Qualche acciacco c’è. Per altre cose, no.
Si guarda allo specchio, e… ?
M’incazzo tantissimo. Non ha idea di quanto sono narcisista.
Ricky Portera a vent’anni.
Con il viso da ragazzino, o addirittura da bimba, come diceva mia madre; mamma, da piccolo, mi vestiva da femmina perché lei desiderava una femmina. E forse avevo fattezze femminee; (pausa) di recente ho visto il film DallAmeriCaruso ed ero una fighetta. Una roba schifosa.
Cioè?
Non mi è piaciuto vedere come stavo sul palco: ero presuntuoso, badavo all’apparenza; soprattutto in sala d’incisione esageravo, con Lucio (Dalla) che mi assestava delle frustate; (ci pensa) non conta risultare bravi, ma emozionare.
Lucio Dalla per lei.
Tostissimo. Aveva varie facce, quando decideva di colpirti era micidiale: era talmente intelligente da impiegare cinque minuti a capire tutto di te, a centrare i punti deboli. Con me è stato basilare…
Traduciamo.
1982, incidiamo Sole domani. Provo l’assolo nove o dieci volte e a lui non andava mai bene. A un certo punto inizia a urlare: “Hanno chiamato e sta morendo tua madre!”. Ho capito che era una stronzata, però sono stato assalito dall’ansia e ho creato un assolo con una nota sola. Ed è un assolo disperato.
Manipolatorio?
A lui non interessava il potere dei soldi, ma quello sugli uomini; per questo voleva attorno la corte e la corte lo assecondava. Lasciai per questo.
I grandi spesso non sono pure manipolatori?
Spessissimo. Anche Vasco Rossi è così; solo che Dalla era un bugiardo allegro, mentre Vasco ti intristisce.
Vasco si definisce un “supervissuto”. Lei è un sopravvissuto?
Gli anni 70 sono stati tosti.
Quanto?
Non ho mai esagerato con la droga, avevo paura, giusto nel 1981 ho provato un po’ la cocaina. Poi sono morti molti amici del tempo.
È stato tra i protagonisti del tour di Banana Republic.
Non ne posso parlare benissimo.
Che è successo?
Economicamente è stato un gioco a perdere: aprivo certe porte e vedevo tavoli pieni di banconote, mentre per noi musicisti c’erano 100mila lire al giorno. E dovevamo spesarci, compresi gli alberghi.
Ma artisticamente?
Era chiaro che stavamo partecipando a un bel pezzo della storia musicale italiana, per questo non protestavamo; comunque sfruttati e da lì nasce il mio disappunto per Francesco (De Gregori).
Lei ha dichiarato: “Quando suono chiudo gli occhi e immagino Hendrix o Beck”.
(Prende tempo, cambia più volte risposta, poi si arrende a se stesso) In realtà penso sempre a una donna.
Eccolo là.
(Ride) Non una in particolare. Beccavo bene.
A lei è stata dedicata Grande figlio di puttana.
Questo brano me lo porto dietro da quarant’anni ed è un complimento.
Quando l’ha ascoltato la prima volta, cosa ha pensato?
Che ero un gran figo.
Pennellato.
Come può sentirsi una persona che ha un brano dedicato da Dalla? L’aspetto triste è che qualcuno ha poi svilito il brano.
Come?
Sostenendo che era dedicata prima a Tizio, poi a Caio… Invece sono io.
Quel qualcuno è Gaetano Curreri?
Eh…
La fama rispetto alle donne non ha offuscato la sua qualità artistica?
No, l’ha migliorata.
Senza tregua.
A 11 anni suonavo nei night di strip tease: si toglievano solo il reggiseno ma per il tempo era molto. E quando restavano con il seno nudo, sistematicamente si giravano verso la band e non capivo nulla.
Comprensibile.
A 11 anni sono stato sverginato; però sembravo un sedicenne. Da allora mi è stato chiaro un punto: più suonavo bene e più donne avevo.
Torniamo alla musica: Luca Carboni da giovane.
Un bel ragazzo, assomigliava a Richard Gere in American Gigolò; in quel periodo noi Stadio avevamo bisogno di u paroliere e lui era bravo e interessante oltre l’aspetto.
Come viene giudicato dai colleghi?
Malissimo. Perché rispetto a quelli della mia età sono ancora un gran figo.
Tra gli artisti chi considera ancora un amico?
Ho pochi rapporti; per me gli amici ogni tanto si sentono, hanno degli scambi, escono insieme.
La solitudine è frequente tra gli artisti.
Forse è la musica a renderci così. Lo ripeteva pure Vasco.
E torniamo a Vasco.
È l’unico artista italiano per il quale avrei suonato dando tutto me stesso, ma non mi ha voluto.
Motivo?
Me lo ha spiegato Guido Elmi (storico produttore): “Secondo Vasco con te fa più danni la figa della Siae”. Mi soffre. Inoltre è convinto che gli ho creato dei problemi su un pezzo, Una nuova canzone per lei, mentre non c’entro nulla. Sono 41 anni che va avanti questa stupidaggine.
Ha suonato con Samuele Bersani.
Bravissimo, ma con lui ho condiviso un piccolo percorso; una volta l’ho visto litigare con Dalla per Canzone.
Per cosa?
Questione Siae; (pausa, sorride) non per una donna.
Dalla è sempre stato riservato rispetto alla sua sessualità.
Infatti quando Marco Alemanno, al funerale, ha definito Lucio “il mio compagno”, io e altri ci siamo incazzati: Lucio non si è mai definito, mai dichiarato. E poi non era un omosessuale, era più un antico romano. Spaziava.
Anche con lei?
Per due anni è stato un continuo.
Si ricorda tutte le donne con le quali è stato?
Quando una mi sorride particolarmente ed è affettuosa, domando sempre se tra di noi c’è stato qualcosa di intimo.
Sembra George Best quando sosteneva: “Ho speso gran parte dei miei soldi per alcool, donne e macchine veloci, il resto l’ho sperperato”.
Uguale. Uguale! Dal 1974 al 1985 ho acquistato tutte le auto più belle sul mercato.
Alcool?
Ho passato periodi nei quali ci ho dato dentro.
Ha una casa di proprietà?
No, e papà me lo ripeteva.
Un errore da musicista.
Non aver mai imparato a leggere la musica.
Riproviamo: lei chi è?
Uno che vivrebbe solo sul palco. Uno onesto. Uno a cui dispiace morire. E che non sa a chi lasciare le sue chitarre.

(La versione integrale è oggi sul Fatto Quotidiano)

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