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Dalla piazza vorrei partisse la proposta di un referendum per trasformare l’Ue in Repubblica federale

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Dalla piazza di sabato 15 marzo, convocata per l’Europa di cui abbiamo bisogno, vorrei che partisse la proposta di un referendum paneuropeo sul futuro federale dell’Unione. Dentro questo auspicio stanno due convinzioni, distinte anche se intimamente legate, una di merito e una di metodo.

Quella di merito: se è vero che “ogni città prende la forma dal deserto cui si oppone”, la “città” Europa per avere un futuro non può che opporsi con tutte le proprie forze a chi nel mondo intende chiudere in una parentesi la democrazia liberale, fondata sulla dignità individuale, sulla responsabilità sociale, sul pluralismo e quindi sulla vocazione universale alla partecipazione nella gestione del potere. Una idea di società che fondandosi sul “ciascuno” e non sul “qualcuno” ripudia la segregazione comunque organizzata, aborre l’abuso di potere e quindi i poteri dello Stato li tiene separati e bilanciati, ripudia la guerra e la pena di morte come ogni altro comportamento che nella sua irrimediabilità neghi in radice la possibilità di riparare l’errore, di riconsiderare la propria posizione, esaltando la presunta efficienza della violenza risolutrice.

Possono sembrare parole astratte, inutili nella vita di tutti i giorni, concetti “woke”, da anime belle… possono sembrare tali soltanto agli ignoranti o ai criminali che sulla fine dell’eresia liberale scommettono le proprie fiches. Sono parole che invece ritrovano tutta la loro lampante concretezza se si pensa agli orrori prodotti dalle società del “qualcuno” e quindi del “qualcun altro”: deportazioni, schiavitù, genocidi. “L’altro” impalato, lapidato, bandito, arso vivo, umiliato, stuprato. Certo è che la società liberale, democraticamente organizzata, non è di per sé sufficiente ad eliminare il veleno della prepotenza del forte sul vulnerabile, ma è sicuramente la condizione necessaria: cedere su questo non si può, non si deve.

Questo orizzonte oggi pretende il coraggio di trasformare l’Unione Europea in una Repubblica federale fondata su uguali diritti ed uguali doveri, un unico sistema fiscale, un unico sistema di protezione sociale, un unico scudo difensivo. Disgiungere il “riarmo” dalla riforma strutturale dell’Ue significa soltanto ingrassare i bellicosi e avvicinare la fine della liberal-democrazia. Per questo saremo in piazza sabato 15 marzo a Roma.

Ma nell’auspicio di un referendum paneuropeo sta anche – e per quel che mi riguarda soprattutto – una convinzione metodologica e cioè che esista là fuori un “popolo europeo” che aspetta l’occasione giusta per manifestarsi e occupare il ruolo che gli spetta.

Mi rendo conto che contro l’idea di referendum paneuropeo militino argomenti pesanti come macigni: la “gente” non va più a votare, il voto è comunque fortemente condizionato proprio dai “padroni del vapore” (alias social media), andò male nel 2005, le destre nazionaliste hanno il vento in poppa, sarebbe la pietra tombale della possibilità stessa di lavorare ad un futuro federale.

E tuttavia credo che se le forze liberal democratiche non avranno il coraggio di fare ricorso alla propria naturale forza legittimante, cioè al popolo europeo degli uomini liberi e delle donne libere, avranno perso in partenza, perché è del tutto evidente che gli “aristo-nazi”, con il loro codazzo di meschini vassalli, la partita giocata nei salotti e nelle segrete stanze dei data center l’hanno già vinta. Cos’altro esprimono i più recenti proclami di Musk che minaccia di spegnere Starlink, blandisce la destra italiana e ha piacere di farsi una chiacchierata con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che intanto, pellegrino ad Hiroshima, non fa che mettere in guardia contro la febbre della arroganza del potere?

C’è un bellissimo film che i leader delle forze democratiche europee dovrebbero vedere: No, i giorni dell’arcobaleno, che racconta del referendum organizzato, obtorto collo, da Pinochet nel 1988 sulla sua presidenza dopo quindici anni di dittatura in Cile. I partiti di opposizione presero inizialmente la cosa come mera opportunità per mostrare la collezione di orrori della dittatura, disperando però sul risultato che si dava per favorevole al regime ancora capace di controllare ogni cosa. La Concertacion de Partidos por la Democracia affidò la campagna referendaria ad un giovane pubblicitario che ribaltò il punto di vista: non usò la campagna per denunciare il potere brutale di Pinochet, ma per mostrare ai cittadini come sarebbe diventato il Cile liberato dall’oppressione. All’inizio lo derisero, poi lo ostacolarono, alla fine vinse. Vinse la Concertacion, vinse la democrazia.

I leader che hanno a cuore il futuro dell’Europa si fidino della “gente” e scopriranno che ha ragione De Gregori, perché se la ritroveranno tutta lì, con gli occhi aperti, che sa benissimo cosa fare.

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