La corsa dei Balcani per l’addio al gas russo
La guerra in Ucraina sembra destinata a durare, il gas di Mosca deve diventare solo un ricordo, ha deciso l’Europa. E i Balcani, regione fra le più dipendenti dalla Russia per le forniture energetiche, non fanno eccezione. È il quadro che si sta componendo con sempre maggior chiarezza nell’area e che vede molti Paesi della regione accelerare su questa strada. Nazioni come la Croazia, dove il governo ha dato luce verde a due mega-progetti, pensati anche per trasformare il Paese in un “hub” europeo del gas, rifornendo pure Slovenia e Ungheria.
Progetti, che hanno un valore di ben 400 milioni di euro e riguardano due nuovi gasdotti, impianti per rafforzare «la sicurezza delle forniture di gas» nella regione, ha messo in rilievo l’esecutivo di Zagabria. Si tratta del Bosiljevo-Sisak-Kozarac, 122 chilometri e 322 milioni di investimento e del Lucko-Zabok (36 km, 78 milioni di euro di valore). Il primo in particolare, assieme all’esistente Zlobin-Omisalj e allo Zlobin-Bosjlevo già in costruzione, ha come fine principale quello di «potenziare le capacità di export del gas naturale liquefatto» (Gnl) del rigassificatore di Krk/Veglia «fino a 3,5 miliardi di metri cubi all’anno», a beneficio anche «di Paesi dell’Europa centro-orientale», Ungheria in testa e «dell’Ucraina».
Il Lucko-Zabok, più corto ma non meno importante, aumenta «la capacità di trasmissione verso la Slovenia a 1,5 miliardi di metri cubi all’anno, che corrisponde in linea di massima al picco di consumo» dei vicini sloveni. Il tutto va letto nell’ambito del «potenziamento delle capacità del terminal di Krk ai previsti 6,1 miliardi di metri cubi all’anno», dai circa 2,9 attuali, «per garantire la sicurezza energetica di famiglie e imprese in Croazia e nei Paesi Ue vicini», ha spiegato il ministro croato dell’Economia, Damir Habijan. Croazia che «ha preso una grande decisione che potrebbe influenzare le forniture per l’Ungheria», hanno sottolineato i media a Budapest, dove la notizia ha avuto forte eco. Krk, ha ricordato di recente il think tank Carnegie Endowment for International Peace, sarà essenziale anche per le forniture alla vicina Bosnia-Erzegovina, che «alla fine otterrà un collegamento fisico con il rigassificatore», ossia la cosiddetta “Southern Pipeline” bloccata finora dal leader croato-bosniaco Covic.
Le crescenti pressioni Usa tuttavia confermano che l’opera è fondamentale – come l’interconnettore Serbia-Bulgaria, attivato a dicembre, che consentirà alla Belgrado “filorussa” di ricevere gas azero e di svincolarsi sempre più da Mosca. E Washington, non a caso il maggior esportatore di Gnl verso la Croazia, non ha intenzione di rimanere oltre a guardare, sul fronte bosniaco.
Non sta ferma, più a sud, neppure la Macedonia del Nord, dove nei giorni scorsi cinque società hanno presentato offerte per costruire l’importante interconnettore – un investimento da 84 milioni - che consentirà l’afflusso di gas dalla vicina Grecia, dove il mega-rigassificatore di Alexandroupolis aspira a diventare l’equivalente meridionale di Veglia. «Abbiamo riservato 300 milioni di metri cubi di gas all’anno ad Alexandroupolis, che sarà disponibile già nelle prossime settimane», ha svelato anche la ministra serba dell’Energia, Dubravka Djedovic-Handanovic. E Belgrado, ha anticipato Djedovic-Handanovic, dopo quello con la Bulgaria vuole altri due gasdotti, con Macedonia del Nord e Romania, da costruire entro il 2027. —
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