I piccoli cimeli raccontano la storia della farmacia comunale Al Cedro di Trieste

TRIESTE Stando ai siti istituzionali, il locale storico della farmacia comunale “Il Cedro” di piazza Oberdan ha iniziato la sua attività nel 1924. A scartabellare un po’ tra i materiali usciti dal sottotetto e dai magazzini del locale durante i lavori avviati dal Comune in queste settimane, spunta però una vecchia scatolina di medicinali che riporta la dicitura: “Farmacia al Cedro, anno di fondazione 1785”. A partire da questo piccolo giallo scopriremo come a Trieste anche la manutenzione del patrimonio comunale incappi regolarmente nella Storia.

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L’intervento

Si è scritto dell’intervento nelle scorse settimane su queste colonne: mezzo milione di euro per ampliare e riqualificare gli spazi, collocati al piano terra di casa Czorzy, costruita nel 1838 su progetto di Giovanni Battista de Puppi. Il palazzo riprende, come altri del periodo, la pianta curva di Rotonda Pancera. La farmacia è lì dal 1924, ma come abbiamo visto il Cedro rivendica una fondazione a fine Settecento.

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La storia

Ci viene qui forse in aiuto lo “Schematismo dell’Imperiale Regio Litorale Austriaco-Illirico” nella sua edizione del 1819. Il volume, stampato a Trieste dagli eredi Coletti, compila in modo molto asburgico le autorità pubbliche e private, religiose e laiche, del litorale, tutte insieme dall’imperatore Francesco I ai sensali “patentati in Fiume”. Tra gli speziali troviamo un “Narduzi Giuseppe” come titolare del “Cedro imperiale” in contrada Baudariù (odierna via Valdirivo). In un articolo del 2020 sulle spezierie triestine, Zeno Saracino identifica i due “Cedri”: la scatoletta che ora spunta dalla vecchia farmacia lo conferma, rivendicando una fondazione settecentesca.

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L’Associazione mutua fra impiegati privati

Che nelle vicende triestine il “Cedro” abbia perso il suo tratto “imperiale” non sorprende. Negli anni Venti troviamo la farmacia in proprietà all’Associazione mutua fra impiegati privati, sodalizio nato in pieno Ottocento con il ribollire delle società di mutuo soccorso e delle cooperative e solida realtà anche dopo la Grande guerra. Un contenitore riporta la dicitura “Farmacia Associazione Mutua fra Impiegati”: il numero di telefono è di quattro cifre, 61-20. Risale a questo periodo anche una bandiera del Regno d’Italia, spuntata intonsa da uno degli scatoloni.

Gli anni dell’Inam

La Mutua degli impiegati confluisce poi nell’Inam, ente di assicurazione contro le malattie fondato nel gennaio 1943 da un crepuscolare Benito Mussolini. L’ente mantiene la gestione della farmacia nel secondo dopoguerra: dalle scartoffie dell’epoca spunta un vecchio numero del Piccolo che annuncia allarmato l’occupazione sovietica di Praga.

L’Inam chiude nel 1977, su iniziativa del governo Andreotti, con l’istituzione del Servizio sanitario nazionale. Il Comune rileva la proprietà della farmacia nel 1982.

Locale storico e arredi

Il materiale ritrovato in questi giorni e quello, la gran parte, già messo al sicuro nel magazzino negli immediati pressi, andrà a costituire l’arredo della farmacia rinnovata: in accordo con la soprintendenza, il Comune intende infatti mantenere il riconoscimento di “locale storico” riutilizzando il patrimonio di cultura materiale del vetusto esercizio. L’assessore ai servizi sociali Massimo Tognolli sottolinea l’importanza dell’intervento, confermata dalla titolare dei Lavori pubblici Elisa Lodi: «La ristrutturazione della farmacia ci permette al contempo di riqualificare un bene storico e di dare un servizio migliore all’utenza».

Il progetto

L’architetto Francesco Iuretig ha elaborato il progetto ed è ora uno dei direttori operativi messi in campo dal Comune per i lavori. L’ultimo assetto della farmacia (che ha chiuso in giugno) aveva un ingresso con bancone piuttosto angusto, e una stanza d’immediato retrobottega-magazzino molto grande, spiega l’architetto. Dopo i lavori i due spazi saranno unificati in un unico ampio ingresso, con luminose vetrate.

Parte dell’intervento consisterà nel conservare due grandi portoni d’accesso su via del Lavatoio: alte porte di legno, con delle ante a metà altezza, che servivano a far passare le teste dei cavalli. È probabile, spiega l’architetto, che in origine questa parte di pianterreno fosse adibita a stalla. Quando ancora piazza Oberdan era chiamata secondo la Caserma che lì vi volle Maria Teresa, e in cui il rivoluzionario di cui ora porta il nome fu giustiziato.

I saggi archeologici

Le sorprese potrebbero non finire qui: come anticipato dal Piccolo, la Soprintendenza ha chiesto si facciano dei saggi archeologici, perché l’edificio sorge sull’antica linea di costa romana.

I lavori sono iniziati il 3 luglio scorso, la conclusione è prevista entro il 28 di gennaio dell’anno a venire.

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