Bruxelles, capitale d’Europa nelle sue vene scorre l’amore-odio per la casa comune

Non si può «sfuggire a questa sorte comune dello spirito europeo» scriveva lo storico Federico Chabod. Ma dalla fine della Seconda guerra mondiale è mutato più volte lo scenario. Il baricentro delle relazioni internazionali si è spostato, in parte, e la cara vecchia Europa deve fare i conti con nuovi colossi.

Una disamina puntuale e privilegiata del valzer continentale contemporaneo viene proposta da un maestro di giornalismo, Paolo Valentino, nel volume “Nelle vene di Bruxelles. Storie e segreti della capitale d’Europa” (Solferino, pp. 240, € 17,50).

L’autore è stato corrispondente da Bruxelles, Mosca, Berlino, Washington per Corsera, dal 1984, raccontando i maggiori avvenimenti degli ultimi trent’anni. In questo testo la capitale belga riveste, evidentemente, il ruolo di protagonista. Valentino dipinge il ritratto di una città diventata simbolo e metafora della costruzione europea, odiata e amata con pari furore dagli addetti e dagli stessi cittadini dell’Unione.

Attraverso le testimonianze di donne e uomini della politica e della diplomazia, di eurocrati, lobbisti, faccendieri e famiglie transnazionali emergono gli scandali e i riti, i segreti e i luoghi del potere, le abitudini e le convenzioni non scritte, le ambizioni e le contraddizioni che ruotano attorno a un centro istituzionale nevralgico che fatica a entrare nel cuore degli europei, le recenti consultazioni confermano una solida presenza euroscettica.

Ma nel raccontare l’Europa di oggi, però, non ci si deve adagiare su posizioni di parte, sulle mode del momento. Valentino ci invita a non consegnare la nostra riflessione sul continente solo alla vulgata di un inesorabile declino, ma a guardare quei settori in cui l’Europa è punto di riferimento e detta l’orizzonte, presente e futuro.

Si pensi ad esempio al potere unilaterale che esercita nel “regolare” i mercati mondiali. «La Commissione europea, infatti, promulga regolamenti e leggi che determinano quali prodotti vengono costruiti e in che modo si devono condurre le transazioni non solo sul territorio dei ventisette Paesi membri, ma nel mondo intero. In questo modo, l’Europa trasforma i mercati globali, stabilendo regole di concorrenza e standard di protezione ambientale, sicurezza alimentare, protezione della privacy, comportamenti sui social media».

L’Unione europea stabilisce in che modo il legname dev’essere raccolto in Indonesia o il miele prodotto in Brasile, quali pesticidi possono usare i produttori di cacao nel Camerun, quali sostanze chimiche possono essere utilizzate nei giocattoli made in Japan, che tipo di macchinari si possono installare nelle aziende casearie in Cina. Sono solo alcuni degli esempi che dimostrano la vitalità europea, incapace a volte di saper far conoscere il proprio lavoro, come conferma il Commissario Paolo Gentiloni nel dialogo con Valentino presente nel libro.

«Quando fai l’assessore comunale o regionale, ma anche quando fai il ministro o il premier prendi ogni giorno decisioni di cui senti il rimbalzo subito, in Parlamento, sui giornali, in una comunità. Qui l’eco delle decisioni è attenuata. Produciamo regolamenti e direttive in molti settori, frutto del lavoro di gente competentissima che pensa di essere nel giusto, poi per valutarne l’impatto dobbiamo fare i conti con la realtà. Non basta il cosiddetto “impact assessment”».

L’autore ci permette di scoprire Bruxelles nei suoi vicoli, nei luoghi simbolici della città. Poco distante dalla Grand Place si può raggiungere l’Hotel Amigo, l’ex prigione che negli anni Cinquanta venne trasformata in albergo di lusso per accogliere aristocratici e famiglie reali, venuti da tutto il mondo per assistere all’Esposizione Universale del 1958, luogo in cui molto decisioni sono state prese in compagnia di un buon calice di vino. Dall’Europa di Gaetano Martino e dalla Dichiarazione di Messina del 1955, però, tante cose sono cambiate.

La sfida del futuro è riuscire a conciliare la dialettica interna alle istituzioni europee e il bisogno di rimanere uniti. «Se l’Europa rimanesse ferma, pagherebbe un prezzo. E anche molto alto. Per la precisione: tremila miliardi di euro l’anno a partire dal 2032, cioè il 18% del Prodotto interno lordo dell’Unione nel 2022».