Curò i sopravvissuti anche se i suoi famigliari erano appena morti nella strage di Vergarolla: così Trieste dedica al medico Micheletti il giardino dell’ospedale Maggiore
TRIESTE “Al dottor Geppino Micheletti, medico italiano medaglia d’argento al valor civile e medaglia d’oro al merito della sanità pubblica della Repubblica italiana che il 18 agosto 1946, a guerra finita, perse due figli, il fratello e la cognata presso Vergarolla (Pola), nella strage in cui morirono un centinaio di italiani. Con ammirevole abnegazione e alto senso del dovere continuò ad occuparsi per più di 24 ore dei pazienti gravemente feriti all’ospedale Santorio di Pola”.
La cerimonia
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È quanto recita la targa apposta ieri – lunedì 19 agosto 2024 – nel centro del giardino dell’ospedale Maggiore di Trieste, fortemente voluta dall’associazione Trieste Pro Patria presieduta da Luca Bellani e realizzata con il fattivo contributo di Asugi e del Comune di Trieste.
Una richiesta partita un anno fa, nel giorno della 77esima ricorrenza della strage di Vergarolla, fatta propria dall’assessore alle Politiche del territorio Michele Babuder che, vista l’impossibilità di dedicare al medico eroe polese uno spazio comunale, ha proposto al direttore di Asugi, Antonio Poggiana, l’intitolazione del giardino interno del nosocomio cittadino.
Ieri la cerimonia ufficiale, alla presenza fra gli altri, di una delle poche superstiti di quella tragedia, la prima sul suolo italiano in tempo di pace, in quanto Pola, fino all’entrata in vigore del Trattato di Pace il 15 settembre 1947, dell’Italia faceva ancora parte, pur se occupata dalle truppe inglesi.
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La testimonianza di Silvana Zimuel
Ogni 18 agosto per Silvana Zimuel rappresenta la data di un nuovo compleanno, per lei che di anni ne ha 82: quello della salvezza da una strage che solo per puro caso non l’ha vista coinvolta. «Nel 1946 avevo 4 anni - ricorda - e scappai all’esplosione perché mio papà mi prese in braccio e mi portò via pochi minuti prima. Avevamo il pranzo da consumare e ci recammo in pineta (l’area più coinvolta dalle esplosioni, ndr), che però era strapiena, non c’era neanche un posto in piedi, per questo mi portò in una garitta militare lì vicina. In quel momento c’è stata l’esplosione e noi dalla garitta abbiamo visto una gragnola di sassi pioverci addosso e, dalle feritoie, abbiamo visto il fuggi fuggi generale della gente e le esplosioni delle altre mine presenti che si sono ripetute per molti minuti».
Rabbia e dolore: sono questi i sentimenti che la signora Zimuel si porta dietro dal giorno di quella tragedia avvenuta 78 anni fa e che portò all’esodo degli italiani anche da Pola, poi passata alla Jugoslavia di Tito. «Rabbia perché nessuno ha mai saputo niente di preciso su quell’attentato. La cosa che mi è rimasta impressa di quel giorno - aggiunge - è l’odore del sangue e di carne bruciata».
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Silvana, poi esule a Pescara assieme alla famiglia e da pochi anni residente a Trieste, non prova rancore nei confronti dei mandanti. «E cosa me ne farei del rancore - chiosa - siamo stati tutti soltanto dei poveri disgraziati».
La storia del dottor Carlo Micheletti Michelstaedter
Il dottor Geppino Micheletti (italianizzazione del cognome Michelstaedter), figlio di Giuseppe e Irma Mejer, era cugino del filosofo goriziano Carlo Michelstaedter.
Studiò a Torino, ottenne l’abilitazione a esercitare come medico a Milano e si specializzò in chirurgia a Bologna. Si stabilì a Pola a partire dagli anni Venti. Durante la Seconda guerra mondiale, dal 1941 al 1943 fu direttore del 41º nucleo chirurgico di stanza in Istria, e venne decorato con tre croci al merito di guerra.
Nell’esplosione di Vergarolla del 18 agosto 1946 perse non solo il fratello Alberto e la cognata, ma soprattutto i suoi due unici figli, Carlo e Renzo, di 5 e 9 anni, recatisi in spiaggia come tanti altri bambini per la tradizionale gara natatoria valida per la Coppa Scarioni. Il corpo di Carlo venne rinvenuto, ma di Renzo restò solo una scarpetta.
Nonostante il medico fosse stato informato del loro tragico destino, continuò ad occuparsi per più 24 ore dei pazienti gravemente feriti e mutilati all’ospedale Santorio di Pola.
In seguito al Trattato di pace firmato il 10 febbraio 1947, Micheletti lasciò Pola assieme alla moglie Jolanda nel marzo di quell’anno, dopo essere stato comandato in servizio dalla Croce Rossa quale “indispensabile”, e aver coordinato l’evacuazione dei malati ricoverati, e dal giugno successivo trovò lavoro a Narni, in provincia di Terni.
Lì restò e operò per 14 anni, fino alla morte avvenuta in seguito ad un’embolia postoperatoria l’8 dicembre 1961. Prima del giardino del Maggiore, in città era stata dedicata nel 2008 una lapide posta nel giardino di piazzale Rosmini.