L’omaggio di Trieste agli agenti uccisi cinque anni fa in Questura: «La ferita rimarrà sempre»
Cinque anni non sono bastati per trovare le parole. Il ricordo degli agenti Matteo Demenego e Pierluigi Rotta – uccisi il 4 ottobre del 2019 durante la sparatoria in Questura scatenata da Alejandro Augusto Stephan Meran, poi giudicato “non imputabile” per vizio totale di mente – si affida ai gesti commemorativi e a pause di silenzio, accompagnati da discorsi in cui risuonano ancora incredulità e sgomento. Le voci indicano le «ferite ancora aperte» e il «dolore indimenticabile», stringendosi in un virtuale abbraccio collettivo che anche venerdì ha unito la città attorno ai suoi “figli delle stelle”.
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La giornata non poteva che iniziare in Questura, nel famedio dove sono incisi i nomi dei due giovani poliziotti sotto all’oraziano “non omnis moriar”. Pietro Ostuni, che cinque anni fa era ancora questore di Piacenza prima del trasferimento nel capoluogo giuliano, assieme al prefetto Pietro Signoriello seguono la deposizione dell’omaggio floreale sotto lo sguardo di decine di agenti.
Presenti il sindaco Dipiazza, l’assessore regionale Pierpaolo Roberti e numerosi rappresentanti istituzionali. Non ci sono le famiglie delle due vittime, che già alcuni giorni fa si erano dette troppo scosse per partecipare alla commemorazione.
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La deposizione dura in tutto pochi minuti e, al termine, questore e prefetto si concedono alle prime dichiarazioni. «C’è tantissimo dolore, è un fatto che non ha eguali nella storia della Polizia di Stato», afferma Ostuni, ammettendo che «difficilmente si rimarginerà una ferita del genere».
Anche Signoriello ricorre alla medesima metafora, concordando sul fatto che «ferite così profonde rimangono sempre». E indicando, però, la memoria come «un obbligo morale che dobbiamo mantenere, quali istituzioni e quali comunità».
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La cerimonia si sposta quindi alla chiesa della Beata Vergine del Soccorso, accanto a piazza Hortis. Difficile non ritornare con il pensiero al corteo funebre e alla folla radunata in piazza Ponterosso cinque anni fa.
Non si raggiunge – complice il giorno feriale e l’orario mattutino – la partecipazione di allora, ma i posti a sedere risultano ugualmente tutti occupati. Anche qui, come pochi minuti prima in Questura, più che le parole risaltano i gesti, la liturgia capace di dare forma a ciò che è a tutti appare indicibile.
«Le sacre letture ci mettono in bocca le parole che la commozione ci impedirebbe di articolare», osserva il cappellano della Polizia di Stato, don Paolo Rakic, nel corso della sua omelia. L’aggressione «incomprensibile» di cui sono rimasti vittime Matteo Demenego e Pierluigi Rotta induce a domandarsi – prosegue don Rakic – «cosa ci sia nell’essere umano che lo renda volenteroso e irremovibile nell’atto di sopprimere la vita di due giovani agenti della Polizia di Stato».
E la risposta, secondo don Rakic, è che «nella notte buia della modernità si scindono diritti e doveri, libertà e responsabilità». Proprio allora c’è più bisogno di «stelle polari, dei “figli delle stelle” che sono morti per difendere le nostre vite e vigilare sulla nostra incolumità».
Sul finire della messa, prima della benedizione, dal pulpito ritorna a parlare il questore Ostuni: «Come forze dell’ordine, siamo sempre esposti al rischio anche nelle situazioni più banali. Ma non dobbiamo demordere». —
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