Aumentano gli iscritti alle scuole cattoliche a Trieste: «Attenzione specifica ai bisogni dei bambini»
Le scuole d’infanzia religiose non sembrano essere toccate dalla crisi demografica. Anzi, a dispetto di un calo delle nascite che anche a Trieste si profila ormai come una costante, registrano un aumento, benché leggero, del numero di iscritti: i dati della Fism – che raduna gli istituti materni cattolici o comunque di ispirazione religiosa – fotografano un rialzo di circa il 10 per cento (652 iscrizioni nell’anno scolastico corrente contro le 599 del 2023-24).
La cifra tiene conto dei nidi integrati, delle cosiddette sezioni primavera e delle scuole dell’infanzia paritarie e associate alla federazione. Ma, in realtà, la tendenza positiva trova conferma anche nei gradi più alti dell’istruzione, dalla scuola primaria alle secondarie di primo e di secondo grado. In tutto, gli istituti della Fism di Trieste sono undici (di cui uno nel comune di Muggia) e con una particolarità significativa: il capoluogo giuliano è l’unica città in Italia dove la federazione accoglie una scuola dell’infanzia ebraica, la “Marco Tedeschi” di via del Monte.
Le scuole paritarie cattoliche (o ebraiche, nel caso specifico triestino) si presentano insomma come un’alternativa solida. L’occasione per un bilancio l’ha offerta, ieri, il consueto “open day” degli istituti nella chiesa di Nostra Signora di Sion (il cui parroco, don Daniele Scorrano, ha sostituito don Ettore Malnati anche nella carica di consulente ecclesiastico della federazione). Presenti gli insegnanti e i rappresentanti delle singole scuole, che nei prossimi giorni organizzeranno i loro “open day” autonomi.
Per leggere i dati e la crescita degli iscritti di cui sopra, è necessario comprendere se e come le scuole paritarie siano cambiate negli ultimi anni. Sgomberando il campo da malintesi che ancor oggi circondano gli istituti. «La federazione non è schierata», spiega Stefano Formigoni della Fism di Trieste: «Non c’è un vincolo religioso, ma un progetto educativo che la include con un paio d’ore alla settimana». Autonomia testimoniata, del resto, dalla presenza di una scuola ebraica fra gli associati.
Formigoni ragiona poi sulle trasformazioni intervenute nel recente periodo. «Gli anni della pandemia hanno messo a dura prova anche noi», ammette. «Devi lavorare con bambini che non sanno né leggere né scrivere e che necessitano di una didattica particolare». Eppure, le scuole sono riuscite «a fare tesoro di quegli anni, aggiustando la formazione degli insegnanti» e adattandola alle opportunità del nuovo contesto. Un esempio? «È cambiato il modo di documentare le attività, sfruttando gli strumenti digitali», risponde sempre Formigoni.
A proposito di insegnamento, c’è un aspetto che rimane fondamentale: «I numeri ridotti e la dimensione non esagerata dell’ambiente sicuramente aiutano – riflette Formigoni –. Abbiamo al massimo tre o quattro sezioni per scuola. E possiamo così garantire un’attenzione specifica ai bisogni del bambino, oltre a una continuità nella formazione scolastica». Aspetto che attira, evidentemente, non poche famiglie.