Ok alla legge taglia-boschi in zone vincolate della Toscana
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Dopo il no degli uffici, il Pd l’aveva congelata. Passata con un blitz di fine anno, ma rischia l’impugnazione come la norma pro-Cuoio
FIRENZE. Travolta dalle polemiche e riposta in un cassetto sei mesi fa, è rispuntata la legge del “partito delle motoseghe”, come i Cinque stelle e i duri e puri dell’ecologismo da giorni chiamano il Pd toscano dopo l’approvazione di un emendamento al testo unico regionale sulle foreste che non solo divide gli ambientalisti, ma rischia di ripercorrere la scia infelice della norma pro-concerie.
Una proposta di legge passata in aula prima di Natale con un blitz di fine anno e con cui i dem toscani eliminano l’obbligo di autorizzazione della Soprintendenza per il taglio degli alberi nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico. Obiettivo, dice il capogruppo Vincenzo Ceccarelli, «sottrarre boscaioli e taglialegna a iter lunghi e costosi per la manutenzione dei boschi, soprattutto nell’ottica del rinnovamento delle foreste e della tenuta idrogeologica del territorio».
Ecco, non solo per le grilline Irene Galletti e Silvia Noferi «è una “leggina” che apre le porte a un Far west di ditte che stanno già deforestando la Toscana», ma l’emendamento sembra davvero un replay. Sì perché i dem, con i voti di Italia Viva, sono riusciti a far passare il correttivo congegnato per la legge 39 del 2000 – che disciplina l’attività forestale in regione – nonostante un parere negativo dell’ufficio legislativo di Palazzo Panciatichi, col rischio di vedersela impugnare dallo Stato e annullare dalla Corte costituzionale perché in contrasto col Codice dei beni culturali.
Una parabola simile a quella percorsa dalla norma pro-Cuoio, approvata il 26 maggio 2020 e abrogata esattamente un anno dopo, quasi travolta dagli imbarazzi e dalle polemiche suscitate dall’inchiesta della procura fiorentina. In quel caso il no arrivò dall’avvocatura regionale due anni prima, nel 2018, a una proposta fotocopia che avanzò il distretto alla giunta. Un parere ignorato dal gruppo in aula due anni dopo. Anche in quel caso l’idea era di alleggerire autorizzazioni e controlli.
«Quest’estate c’eravamo fermati dopo aver inviato al Parlamento una proposta di modifica del Codice dei beni culturali – spiega Ceccarelli – Speravamo che a Roma se ne occupassero, invece temporeggiano. Dobbiamo sbloccare un settore in crisi. E soprattutto consentire la manutenzione sulle montagne come l’Amiata per scongiurare alluvioni e incendi. Sappiamo di rischiare l’impugnazione, ma dovevamo provarci».
Per Italia Nostra e Wwf è una specie di colpo d’ascia sulla tutela delle aree protette. Per Legambiente «una soluzione a un problema di gestione» di parchi, foreste e riserve naturali generato da un’interpretazione restrittiva della legge data dal Consiglio di Stato e dalle Soprintendenze. Eppure il pericolo di veder franare l’emendamento c’è. Già sei mesi fa erano stati gli uffici giuridici del Consiglio ad avvertire i dem. In neppure tre pagine, Francesca Casalotti e Beatrice Pieraccioli, ne smontavano la proposta. La «disposizione – scrivevano le esperte – prevede che anche per i tagli colturali nei boschi ricompresi nelle aree vincolate per il loro particolare valore paesaggistico ai sensi dell’articolo 136 del Codice dei beni culturali e ambientali non sia richiesta l’autorizzazione paesaggistica».
Unica eccezione, le zone in cui «la dichiarazione di interesse pubblico riguardi in modo esclusivo i boschi». Tradotto: se il vincolo riguarda gli alberi in sé, niente tagli senza permesso; se invece è posto su una riserva vincolata per la presenza di una villa, una chiesa, un albero monumentale all’interno della quale ricade anche un bosco, via libera. «La Corte – continuavano – ha in più occasioni precisato che non compete al legislatore regionale disciplinare ipotesi di esenzione». «La Regione non può allentare le tutele, semmai deve restringerle. Il Pd parla di “ordinaria attività silvana”. La realtà è che già ora si tagliano a tabula rasa ettari di bosco senza controlli per la scarsità di carabinieri forestali – dice Noferi – Le attività bucoliche di cui parla la maggioranza sono promosse da ditte che vengono da fuori, impiegano manodopera al nero, e lasciano un paesaggio spettrale».
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