Brosio racconta Tangentopoli trent'anni dopo: «Quei giorni da inviato, sul marciapiede in cerca di notizie»
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L'ex cronista del Tg4 ripercorre i suoi momenti a caccia di aggiornamenti e rivelazioni: «La nostra era una vera maratona televisiva, non quelle moderne»
Francesco Saverio Borrelli, capo del pool di Mani Pulite e morto nel luglio 2019, era poco incline alle confidenze. Soprattutto nei confronti dei giornalisti, ma una a Paolo Brosio, l’inviato del Tg4 di Emilio Fede diventato un simbolo della “sete” di notizie degli italiani nel periodo di Tangentopoli, gliela fece: «Prima di uscire dal mio ufficio – gli disse un giorno – sappia che talvolta guardo lei dalla finestra. Se la vedo con l’ombrello aperto mi rendo conto che sta piovendo e quindi mi attrezzo anch’io per tornare verso casa».
Quasi sei anni trascorsi davanti al Tribunale di Milano, sul marciapiede e nel traffico tra autobus e clacson, con centinaia e centinaia di ore di diretta. E, ovviamente, numerosi scoop firmati, anticipatori rispetto ai lanci delle principali agenzie di stampa. L’ormai famosa “maratona Mentana” (il nome con il quale da tempo sono note le edizioni speciali del Tg La7 in corrispondenza di competizioni elettorali o avvenimenti politici di particolare rilevanza, ispirandosi alle election night americane) è venuta molto dopo, le prime maratone giornalistiche furono sicuramente quelle di Fede e, sul “campo”, di uno dei suoi giornalisti di punta.
Brosio, non le dà fastidio, in questi giorni in cui ricorrono i trent’anni da Mani Pulite, che solamente Enrico Mentana sia ricordato per le maratone giornalistiche?
«Un po’ sì, lo confesso. Mentana, nelle sue maratone, si affida alle agenzie che arrivano in redazione, mentre io la maratona la facevo davvero, fisicamente. Per ore e ore sul marciapiede, sulla strada, cercando di intercettare le notizie che trapelavano dal palazzo di giustizia prima che arrivassero alle agenzie. Mi ricordo bene che cominciavo alle 8.30 e oltre alle dirette dovevamo anche cucire tutto su misura per le varie edizioni dei telegiornali. Un impegno faticoso ma di grande soddisfazione, che in numerosi casi ha ripagato degli sforzi compiuti».
Il giornalismo, però, nel 1992 era un’altra cosa...
«Indubbiamente. All’epoca i cronisti per andare nei posti a caccia di fonti e notizie c’erano a disposizione. Oggi non è più così, a causa soprattutto della crisi della carta stampata. Parlate con uno cresciuto, prima a La Nazione e poi al Secolo XIX, con il cosiddetto giro di cronaca, mi ricordo che facevo addirittura il giro delle cappelline del commiato per vedere chi era morto. In quegli anni in redazione non si aspettavano le reazioni “vomitate” dalle agenzie, muovevamo il culo dalla sedia e andavamo in giro».
Dopo Mani Pulite il mondo e la politica sono cambiati davvero?
«All’inizio, quando cioè scoppiò Tangentopoli, sembrava che tutto dovesse cambiare. Basti pensare che prima del 17 febbraio 1992 sembrava ad esempio impensabile che il nome di Bettino Craxi potesse essere accostato a un qualche scandalo oppure a una qualche inchiesta. Uno tsunami, effettivamente, c’è stato e ha spazzato via, polverizzandolo, il cosiddetto “Caf” (l’asse Craxi-Andreotti-Forlani, ndr), ma purtroppo si è portato dietro numerose degenerazioni. Sono stati abbattuti gli equilibri tradizionali, ma da lì ha preso il sopravvento la debolezza dei partiti di cui non ci siamo ancora liberati».
Quando parla di “degenerazioni” si riferisce anche all’eccesso dell’uso della custodia cautelare in carcere?
«Non racconto balle se dico che in quei giorni i domiciliari arrivavano (nel senso che venivano concessi) solo se si vuotava il sacco. Sono stati anni di angosce, depressioni e disperazioni per tanti, a cui sono state negate compassione e pietà cristiana. Basti ricordare le vicende di Raul Gardini, Sergio Moroni e Gabriele Cagliari, che c’hanno rimesso la vita. Insomma, in poco tempo si passò da uno smodato utilizzo di misure coercitive a un periodo di veri e propri abusi. Proprio come succede e com’è successo con il Covid».
Scusi Brosio, ma cosa c’entra il Covid? Che c’azzecca - direbbe Antonio Di Pietro – Tangentopoli con la pandemia?
«Trent’anni fa furono i giudici a rappresentare la medicina amara, oggi quella stessa magistratura dovrebbe essere solerte come all’epoca e fare luce su questi due anni folli che abbiamo vissuto. Dovrebbe scoppiare una “Viropoli” che faccia emergere i tanti errori commessi, a partire dall’uso eccessivo dei decreti con cui è stata indebolita la libertà costituzionale. Ora più che mai c’è bisogno di tornare a una politica autorevole, e non autoritaria come quella nata sulle ceneri di Mani Pulite e in voga ancora oggi».
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