Pozzi inquinati, il gip archivia il caso Nessuna correlazione col picco di tumori
Casalguidi. Nessun legame con la discarica del Cassero, nessuna correlazione con il “cluster” di tumori tra i residenti del vicino paese di Casalguidi e, soprattutto, nessun processo.
Conclusioni messe nero su bianco dal giudice delle indagini preliminari del tribunale di Pistoia, che, su richiesta della procura, ha definitivamente archiviato il procedimento penale aperto sull’inquinamento dei pozzi di via del Redolone, nella frazione serravallina di Ponte Stella: anche se l’origine delle sostante cancerogene che sono finite nella falda idrica della zona è stata accertata, il quarantennio trascorso dagli eventi che determinarono l’inquinamento ha cancellato i reati ipotizzati .
Non finiranno perciò sul banco degli imputati i due indagati (per i reati di omicidio colposo e getto pericoloso di cose) uno dei quali, tra l’altro, nel frattempo deceduto: Alfredo Thun, nato in Germania nel 1924, e Gian Piero Prandelli, originario di Brescia, del 1928, gli amministratori che, dal 1974 al 1984, si succedettero alla guida della “Movimenti Thun spa”, l’azienda, chiusa da 38 anni, dalle cui vasche di sgrassaggio e cromatura di componenti meccanici sarebbero fuoriusciti il pce e la trielina che, negli anni, si sono poi degradati nelle sostanze (cloruro di vinile monomero e dicloroetilene) rinvenute nei pozzi che attingono acqua dalla falda sottostante.
Il giudice delle indagini preliminari ha respinto l’opposizione presentata da associazioni ambientaliste e residenti della zona, decretando l’archiviazione per prescrizione per quanto riguarda Thun e per morte del reo per Prandelli.
Chiuso il versante penale, resta aperto quello relativo alla bonifica della falda idrica inquinata, che dovrebbe spettare agli attuali proprietari dell’area in cui era attiva un tempo l’azienda meccanica: la Sant’Andrea srl, società immobiliare di Pistoia della famiglia Carrara, subentrata per legge, oltre che nella proprietà, anche negli obblighi ambientali. Nel decreto emesso dalla Regione lo scorso ottobre, si parla dell’installazione di un impianto di messa in sicurezza della falda contaminata, della chiusura di due pozzi contaminati e dell’avvio della procedura per la bonifica dei terreni dell’ex fabbrica. Costo stimato dell’operazione, circa due milioni di euro.
Il fascicolo ora archiviato era il risultato di una serie di esposti presentati (dopo l’allarme inquinamento del gennaio 2019) da cittadini e associazioni, in cui veniva ipotizzata, oltre alla possibilità che l’inquinamento dei pozzi fosse dovuto alla presenza della vicina discarica del Cassero, anche quella che le sostante cancerogene rinvenute nell’acqua fossero la causa della diffusione fuori della norma di sarcomi tra la popolazione di Casalguidi, con due decessi in pochi anni: da qui l’ipotesi di reato di omicidio colposo.
Il cluster di sarcomi.
Come accennato, nel corso dei due anni di indagini (portate avanti su due fronti, con la collaborazione dell’Arpat e del dipartimento di epidemiologia dell’Asl) la procura ha accertato l’assenza di correlazione diretta tra l’inquinamento e il cluster (un picco inspiegabilmente oltre la media in una ristretta fascia di popolazione) di sarcomi: i responsabili dell’inchiesta epidemiologica dell’Asl hanno precisato nel loro rapporto finale che cloruro di vinile monomero e dicloroetilene sono certamente sostanze cancerogene per l’uomo, correlate ad esempio all’angiosarcoma epatico e al carcinoma epatocellulare, ma non sono correlate ad altri tipi di tumore.
Non esistono, spiega il gip nel decreto di archiviazione, «evidenze scientifiche – intendendosi con questo termine quelle che derivano da complessi studi con attente progettazioni e sofisticati strumenti di analisi dei dati – che possano ricondurre i casi clinici segnalati a eventuali inquinamenti della falda acquifera».
discarica del Cassero.
Come spiega il gip del decreto di archiviazione, i risultati dell’indagine ambientale condotta dall’Arpat portano a escludere che l’inquinamento della falda possa essere stato causato dalla vicina discarica del Cassero, la cui impermeabilizzazione è risultata esente da sversamenti: «I solventi clorurati nelle acque di sottotelo e nelle acque sotterranee sia in occasione dei controlli effettuati dal gestore che in quelli effettuati da Arpat sono risultati sempre inferiori al limite di rilevabilità», fattore che conferma «l’efficacia dei sistemi di rivestimento del fondo e delle pareti». E l’Arpat va oltre: «L’attività della discarica non ha avuto complessivamente un effetto negativo né sul livello naturalità/alterazione dell’ambiente circostante, né sulle deposizioni dei metalli (nichel, rame, cromo, ferro e zinco): Le uniche variazioni negative risultano limitate ai siti in prossimità dell’impianto, a breve distanza dalle aree in coltivazione».
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