Omicidio Ciatti: il dolore di Sara, la sorella di Niccolò: «Vivo, ma piango per mio fratello»
GIRONA. A quasi cinque anni di distanza dalla sua morte, va ancora ogni giorno al cimitero e si chiede che fratello sarebbe stato, che rapporto avrebbero avuto, ora poi che sarebbero stati entrambi “grandi”. «Sai, io avevo 18 anni, lui 22. Avevamo un rapporto normale, di fratello e sorella. Io andavo a scuola, lui lavorava, quindi ci vedevamo il pomeriggio e stavamo insieme. Ma ora, ora sarebbe tutto diverso. Ora magari uscivamo insieme». E con quel “ora” ripetuto una volta di troppo, Sara Ciatti, sorella di quel Niccolò ucciso a calci in testa la notte dell’11 agosto in una discoteca di Lloret de Mar, scoppia a piangere all’ingresso del tribunale di Girona dove tra poco leggeranno il verdetto sull’omicidio di suo fratello (arrivato nel pomeriggio di giovedì 2 giugno). Diranno se è stato ucciso volontariamente o meno, ma poco cambia in questo momento.
Lei piange come se fosse appena successo. Come se l’avessero appena chiamata per dirle che era accaduta una cosa brutta. Lei aveva appena compiuto 18 anni – il 23 luglio del 2017, Niccolò ne aveva fatti 22 il giorno dopo – ed era a Formentera per la sua prima vacanza da sola.
«Mi ricordo che a cena chiamavo mia mamma e non mi rispondeva – racconta -, poi mi ha chiamato mio babbo e me lo ha detto». Non riesce a ripetere le parole che ha usato. Le ricorda bene, ma non ce la fa proprio a dirle. Si toglie una lacrima con l’indice della mano, per non sciuparsi il poco trucco che ha.
Indossa una t-shirt bianca, pantaloni neri larghi e delle sneakers, eppure sembra elegantissima con i suoi lunghi capelli castani e gli orecchini che brillano. «Sono partita subito – riprende – ho passato una notte in aeroporto, poi sono riuscita ad arrivare a Girona». A Girona, non a Lloret de Mar dove era appena stato ucciso il fratello. Lì ci è andata una sola volta, qualche mese dopo. E non ci tornerà più, dice. Anche i genitori hanno detto la stessa cosa: «Mai più».
«Tutto è cambiato da quel giorno. Non per me, per tutti: a tavola eravamo in quattro ora siamo in tre». E scoppia di nuovo piangere. «Quando sono rientrata a scuola (doveva seguire l’ultimo anno di superiori, ndr) mi dava fastidio che mi guardassero. A volte, mi ritrovavo a sorridere e mi dicevo “oddio, come mi permetto di sorridere che lui è morto?”. Anche ora a Natale non riesco a scartare i regali senza sentirmi in colpa. Sto male perché mi manca, perché lo vorrei proprio ora, in questa fase della mia vita. Vorrei mio fratello. Ma sto male soprattutto per lui, per la vita che avrebbe avuto e che starebbe vivendo. E che io sto vivendo». Se ne fa una colpa.
Ora lei di anni ne ha 22, quelli che Niccolò avrà per sempre, e si sta per laureare in scienze dei servizi giuridici. «Ma non per un motivo particolare ho scelto questo percorso», dice. Niccolò invece alla sua età lavorava in un banco del mercato. «Non ha mai voluto studiare e ha sempre detto a mia mamma “è inutile che ti faccio spendere soldi”. E così è andato subito a fare un lavoro che era anche duro, ma lui era felice».
Tra poco arriveranno in tribunale i due uomini ceceni accusati uno dell’omicidio del fratello e l’altro di favoreggiamento, ma lei li ha già incontrati. È arrivata a Girona lunedì e ha seguito tutte le udienze. Tutte. Ripartirà domani mattina all’alba dopo la lettura del verdetto. «Quando l’ho visto piangere in aula (Rassoul Bissoultanov, il principale imputato, ndr) sentivo rabbia – continua -: si vedeva che era tutto montato per fare pietà alla giura. Tutto montato. Si vedeva perfettamente. Ed è un ulteriore insulto».
L’attesa per il verdetto è lunga. Una giornata intera. Lei però non perde mai di vista la madre. La osserva, le tiene la mano, vorrebbe toglierle quel dolore che lei conosce e che rimarrà.