Addio al prof Petri, con lui la Francia ha fatto breccia nei cuori
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Stimatissimo docente dell'istituto Rosmini, aveva 75 anni
GROSSETO. «Bonjour, asseyez-vous». Giacca e cravatta impeccabili, la borsa di pelle con i compiti e i libri, quando il professor Petri entrava in aula, entrava con lui tutta la Francia con la sua innata eleganza. Non era perciò difficile l’alzarsi in piedi, subito smorzato da quel tranquillizzante: «Sedete». Dava del “lei” a tutti, a ogni studente. Ma non era una posa, solo puro rispetto dell’interlocutore, fosse anche un ragazzino. E non c’era rigidità. Ogni iniziale, apparente, formalità era diluita all’istante da un’ironia irresistibile.
Così è stato, per generazioni di studenti e studentesse, Carlo Petri, insegnante di francese al liceo linguistico Rosmini di Grosseto. Petri è venuto a mancare lunedì pomeriggio, colpito da un arresto cardiaco. Da qualche anno era malato.
Nato a Massa Marittima il 5 ottobre 1946, Petri trascorre l’infanzia in un podere dell’agro di Sasseta, nel comune di Montieri. Intelligente, sveglio, ben presto si accorge che l’orizzonte della Maremma gli va stretto. Lo scopre quando si iscrive all’istituto Magistrale di Grosseto e sfoglia il primo manuale che gli aprirà un mondo: la Francia. Per Carlo è amore a prima vista. Studia con voracità, si laurea con successo e capisce che la sua vocazione è l’insegnamento. La prima esperienza è a Firenze in un istituto privato. Di lì a poco, il sogno si avvera: parte per Parigi dove vivrà per alcuni anni insegnando Italiano.
Il ritorno in Italia è obbligato. «Sarebbe certamente rimasto in Francia – racconta la figlia Cinzia Petri, scrittrice – se non lo avessero richiamato a fare il militare. E, all’epoca, se non rispondevi subito, venivi considerato disertore».
Carlo è costretto a tornare in Italia. E finito il militare, torna all’insegnamento. Prima destinazione: le medie di Castell’Azzara. Il destino però sorride al giovane Petri. Che proprio a Castell’Azzara incontra la sua futura moglie, Fulvia Marzocchi, insegnante di Italiano.
La coppia si sposa, nel 1978 nasce Cinzia, Carlo viene trasferito a Scansano e poi prende l’abilitazione per le superiori. Inizia così la grande avventura al Magistrale Rosimini, la scuola che lo aveva visto studente e che, da quel momento in poi, vedrà in lui, e in altri colleghi, i fautori di quel liceo moderno che è oggi.
Proprio in quegli anni – i primi anni Novanta – avviene infatti il passaggio dal “vecchio” istituto a un modello di scuola innovativo: il liceo Linguistico, fino ad allora inesistente nella pubblica istruzione, e il liceo Psicosociopedagogico.
Il francese diventa una delle materie portanti del Linguistico, all’epoca strutturato come “maxisperimentazione”.
Il professor Petri si fa in quattro per organizzare un insegnamento moderno e di altissimo livello. È uno dei fautori del laboratorio linguistico e adotta come manuale di letteratura lo stesso usato nelle università francesi, il “Lagarde et Michard”. Eppure le lezioni non sono mai “mattoni”. Petri non lascia fuori dall’aula la sua ironia, la sua curiosità per le cose del mondo, il suo modo di porsi educato ma mai ingessato.
La scuola “del Petri” prosegue anche fuori dall’aula. Il prof accompagna gli studenti nei viaggi studio d’estate in Francia. E, durante l’anno scolastico, organizza scambi culturali con le scuole francesi.
«Un professore meraviglioso – lo ricorda Sabrina Irudal, ex studentessa – capace di trasmettere con tranquillità e ironia grandi insegnamenti». Tra i colleghi gode di stima e amicizia. «È stato un collega perfetto per tanti anni – lo ricorda Lucia Matergi, allora insegnante di Italiano e Latino, oggi direttrice del comitato scientifico della Fondazione Bianciardi – Perfetto perché professionista ineccepibile e amico amabile, non solo dei compagni di mestiere, come me, ma anche forse soprattutto, delle ragazze e dei ragazzi che hanno avuto la fortuna di incontrarlo a scuola. Il tutto arricchito da una dote rara e invidiabile: l’ironia, sempre bonaria ma acuta, con cui ha saputo guardare il mondo saggiamente, dall’alto. Non lo dimenticherò, non lo dimenticheremo».
Ma Carlo Petri non è solo un insegnante. «A casa aveva lo stesso modo di porsi – racconta la figlia Cinzia – Ironico, brillante, scherzoso, onesto, corretto. Mi ha insegnato a vivere e a guardare le cose nel giusto modo. Per me è stato un padre sempre presente e affettuoso, mi ha sempre aiutata. Avevamo un rapporto molto stretto, un affetto dilagante. Nel tempo libero amava dedicarsi ai propri interessi: la caccia a Prata, la pesca, i viaggi. Amava la vita in tutti gli aspetti».
Petri, vedovo da sei anni, lascia la figlia e il genero Rossano Tacconi. I funerali si sono tenuti mercoledì a Prata, dove riposa accanto ai genitori.