Gli spaghetti in 10 anni sono aumentati del 237%, +77% nell’ultimo anno. L’allarme di Cna: «Registriamo un calo delle vendite del 20%»
FIRENZE. Ora la pizza è solo gourmet, anche senza bufala. Per renderla chic basta poco: la farina. Quella di grano tenero è passata da 37 euro al quintale di un anno fa agli attuali 69 euro. Un aumento percentuale dell’ 86 per cento. Cna lancia l’allarme su un aumento che sta mettendo in ginocchio il comparto dei panificatori e dolciari. Ma è solo la punta di un iceberg che i dati di Federconsumatori fotografano con un paniere di prodotti di uso comune da far accapponare la pelle: uova, spaghetti e patate, giusto tre esempi, sono aumentati in dieci anni di cifre astronomiche. Un chilo di spaghetti costa il 237% in più, di cui un +77% registrato nell’ultimo anno.
La spesa sta diventando un lusso per numerose famiglie e per gli imprenditori che quei prodotti mettono in vendita stretti tra gli adeguamenti che non sempre ci sono e tra l’aumento delle materie prime.
«Gli effetti sono anche sotto gli occhi (e nelle casse) di tutti gli operatori del settore che stanno registrando un calo delle vendite di circa il 20 per cento, in special modo per quanto riguarda i prodotti correlati al pane, dalle pizze alle schiacciate», dice Andrea Panchetti, presidente dei dolciari e panificatori di Cna Firenze Metropolitana. «Tanti colleghi – aggiunge – negoziano periodicamente, circa una volta al mese i fidi concessi dalle banche: la situazione è ormai insostenibile perché la produzione è diventata antieconomica».
I panifici e le imprese dolciarie nella Città metropolitana di Firenze sono 432, quasi per il 72 per cento artigianali. E soprattutto la situazione non è destinata a migliorare. Lo racconta Giuseppe Agostini, abita a Signa ed è uno dei più importanti broker italiani di grano.
«Siamo a una nuova svolta – dice – e non è positiva. La situazione in Ucraina non si sblocca, in India hanno bloccato le esportazioni col timore di non avere grano sufficiente per il mercato interno mentre Italia, Francia e Germania avranno un raccolto molto inferiore rispetto agli anni precedenti a causa della siccità. Il grano insomma non ci sarà, le scorte ormai sono finite e adesso i mulini si riforniscono a prezzi doppi rispetto al passato. Un camion di grano costava 6.000 euro, adesso lo si paga il doppio».
Una situazione che monta ormai da mesi ma che i consumatori avvertono adesso in tutta la sua gravità: il motivo? Il caro-spesa si somma a bollette e altri costi e per molti prodotti i negozi e i supermercati, dopo aver cercato di tenere fermi i costi, hanno dovuto adeguarli.
«Sono nella grande distribuzione da 25 anni – racconta Antonio Mannina, titolare di tre Conad City a Firenze – e non ho mai visto una situazione del genere. Abbiamo fornitori che ci chiedono adeguamenti anche più volte nello stesso mese per gli aumenti delle materie prime. Noi cerchiamo di rispondere positivamente ma non possiamo scaricare tutto l’importo sui consumatori: stiamo riducendo il reddito anche perché se gli aumenti fossero corrispondenti a quelli che riconosciamo ai fornitori la gente non potrebbe permettersi di fare la spesa».
In alcune situazioni i ritocchi servono a non andare sottocosto «tanto la forbice si è assottigliata». E i clienti? Hanno cambiato completamente il loro modo di fare la spesa.
Lo raccontano loro e gli studi dei principali operatori della grande distribuzione: gli scontrini si sono mediamente ridotti, i clienti vanno più volte alla settimana a fare la spesa acquistando alimenti che servono al massimo per due giorni, non c’è più la spesa “ricca” per il fine settimana e le scorte sono ormai un’abitudine del passato e del periodo del lockdown.
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