Imprese agricole, dati incoraggianti: le ditte sono in crescita nonostante la crisi - ecco come
L’aumento dei costi delle materie si fa sentire e molte aziende ora sono a rischio di chiusura
CECINA. Come sta l’agricoltura? Verrebbe da dire male, con gli effetti della guerra che si fanno sentire ogni giorno di più. Eppure l’agricoltura sta anche bene. Almeno nella provincia di Livorno dove si registrano dati in controtendenza con un aumento del numero delle aziende agricole, dell’acquacoltura e della pesca.
Parliamo di 2.668 imprese (il dato è del 2021 secondo InfoCamere) con un rialzo percentuale dell’1% sull’anno precedente. Un altro numero positivo è quello delle aziende Under 35: 166 in totale. Qui la provincia di Livorno detiene il record, piazzandosi al primo posto in Toscana per incremento. D’altra parte lo scenario non può definirsi favorevole e le conseguenze prodotte dalla guerra sono forti e, allo stesso tempo, gravi. A partire dall’aumento dei costi di produzione. Secondo Coldiretti (fonte Crea) l’incremento medio dei costi correnti per il comprato agricolo è di 14.358 euro di media regionale ad azienda, per un importo complessivo di 40milioni di euro per le imprese agricole della provincia di Livorno. Guardando i vari settori, quelli messi peggio sono le aziende avicole (allevamento di polli) con un aumento dei costi fino a 99mila euro e per i granivori con 988.982 euro. I dati sono quelli nazionali e vedono le imprese di bovini con un aumento di oltre 47mila euro, mentre l’olivicoltura (5.475 euro) e la viticoltura (6.886 euro) tengono meglio.
«Nella nostra zona il discorso sul vino è, però, un po’ diverso, con una stima superiore alla media e il problema enorme del reperimento del vetro – a parlare è Simone Ferri Graziani, presidente provinciale Livorno Coldiretti – Gran parte del vetro per il vino toscano viene dall’Ucraina e la guerra ha fatto aumentare moltissimo il prezzo, con difficoltà enorme anche a reperire la materia prima. Soprattutto per chi aveva bottiglie particolari. Servirà trovare altri produttori e, per certi versi, questo può essere anche uno stimolo per cercare di valorizzare l’intera filiera della produzione del vino. Per dire, a Montelupo esistono vetrerie storiche ma, per questioni di costo, siamo andati a cercare altri produttori. Va bene tutto, ma forse avremmo dovuto sostenere la filiera. Detto questo, l’aumento dei costi è altissimo per le aziende della provincia di Livorno».
Non solo e non tanto nel settore del vino: «Parlo delle aziende avicole – spiega Ferri Graziani – In Val di Cornia c’è uno dei produttori più importanti. È un ambito questo che richiede un consumo di energia più rilevante che altrove e ciò va a incidere sul costo dell’elettricità. Per produrre uova e per avere un ambiente adeguato per gli animali, occorre una temperatura costante, con tanto di condizionatori veri e propri. Già meglio va per gli allevatori di bovini, che escono anche al pascolo. Parliamo in generale nell’agricoltura di un rialzo dei costi che mette in difficoltà le imprese». Sempre Coldiretti parla di un’azienda su dieci (precisamente l’11% nazionale) in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività, con un 38% su base regionale che si vede costretto a lavorare in una condizione di reddito negativo. Il tutto con un impatto forte non solo sul fronte produttivo, ma anche su quelli occupazionale, ambientale, della biodiversità e della gestione dei territori. «C’è però anche una nota positiva – afferma Ferri Graziani – Nella provincia di Livorno è in aumento il numero delle aziende con dati importanti anche per le imprese Under 35. Parliamo dell’agricoltura, ma anche dell’itticoltura e allevamento delle cozze che trainano il settore. Una situazione positiva che rischia di volgere al negativo con il rigassificatore. È un problema, certo. Abbiamo un comparto di allevamento orate e cozze in crescita e che dà ottimi risultati anche sotto l’aspetto della qualità. Un comparto fatto soprattutto da giovani che, tuttavia, vede come un potenziale pericoloso l’arrivo nel porto di Piombino della nave gassiera. Il tutto in un pezzo di mare incontaminato. Ed è chiaro come questo porti preoccupazione. Fra i dati positivi, oltre l’agricoltura e la pesca, c’è la parte dei boschi, in particolare nella provincia livornese. Una provincia evidentemente completa dal punto di vista del comparto primario legato al mondo agricolo, secondo uno scenario che ha permesso alle aziende di tenere durante la pandemia e adesso con la guerra. In realtà siamo andati oltre la tenuta; siamo cresciuti. Nel vino, certo, ma anche negli altri settori». «Fra le aziende penalizzate dall’aumento dei costi, ricordiamo comunque anche gli agriturismi dove l’energia ha un’incidenza molto elevata – dice Ferri Graziani – D’altra parte in una situazione come quella attuale non si può aumentare il prezzo delle camere e dell’ospitalità, ma i costi per le imprese sono alti. Costi fissi che rendono difficoltosi i bilanci delle aziende». L’abbiamo accennato sopra, il grano. Un settore fra i più colpiti dal momento. C’è chi azzarda più di un dubbio al grido di «ma il grano non è italiano, perché è in crisi?».
È ancora la Coldiretti a chiarire la questione: «Qui incidono molto il gasolio ma anche i concimi, l’urea. Concimi importati dall’Ucraina dove esistono enormi risorse – le parole di Ferri Graziani – Questo frangente ha determinato un aumento nei costi di produzione, nel senso di concimazione, e anche di lavorazione. Per fortuna prima dello scoppio della guerra era stato fatto un ordinativo che, in qualche modo, ha salvato l’approvvigionamento, ma l’allarme arriva di fronte a un eventuale persistere della guerra: in quel caso potremmo incappare in una vera e propria assenza del prodotto o a prezzi esasperati. Il grano è perciò al 100% italiano, toscano, con una filiera di qualità, ma penalizzato dagli elementi del gasolio e dei concimi. Il tutto, però, si inserisce in un quadro positivo che è quello dell’agricoltura come settore che ha ancora appeal, soprattutto fra i giovani».